Al maso rimaniamo praticamente mai. Sappiamo benissimo che il programma giornaliero non può comprendere ascensioni impegnative. Le cime ci piace anche ammirarle da sotto. E poi la montagna non propone soltanto rocce e sentieri in verticale. Offre comodi sentieri tra i boschi, prati sterminati e verdeggianti e aria buona in quantità. E non c’è che l’imbarazzo della scelta. Il desco mattutino di Frieda è pronto, gli amici pure e allora? Perché aspettare? Punto di partenza il grande parcheggio oltre la stazione ferroviaria

Davanti a noi, superate le infrastrutture produttive di San Candido, si stendono le vaste prateria che ricoprono il fondovalle e le prime dolci pendici delle montagne. Sentiero pianeggiante, qualche tratto in leggera salita, giusto per raggiungere lo spartiacque proprio sulla Sella di Dobbiaco, perché lì ogni goccia di pioggia, una volta atterrata dovrà scegliere se puntare verso il mare Adriatico o il più lontano mar Nero. Ci sorpassano alcuni ciclisti, altri li incrociamo e intanto raggiungiamo il bosco. Finalmente un po’ d’ombra. Un mix di chiacchiere, vecchi ricordi di esperienze passate da queste parti distraggono dallo sforzo che l’età fa percepire più di quanto ci si aspettava alla partenza. Poi, a un tratto, ecco due panchine, in un punto si affollano alcuni escursionisti come noi, scattano selfies, si sciacquano le mani, bevono e riempiono le borracce. Lo sapevo! Siam giunti alle sorgenti della Drava. Quelle goccioline cui si accennava hanno scelto e si precipitano verso il Danubio che le porterà, insieme a tante sorelle provenienti da mezza Europa, fino al mar Nero.

Inevitabile seguire con la mente il percorso di quelle goccioline. Fino a Lienz, qualche anno fa, c’eravamo arrivati in bici, e sapevamo che la ciclabile andava anche oltre, uscendo presto dall’Italia per toccare Austria · Slovenia · Croazia · Ungheria · per 720 km, seguendo il fiume che diventa uno dei maggiori fiumi d’Europa, pur essendo solo un semplice affluente del Danubio.


La fantasia porta lontano in pochi secondi, la realtà, invece, suggerisce di riprendere il cammino. E così accade. Pochi passi e due militari ci fanno segno di scendere più a valle: di lì non si passa, al poligono di tiro sono impegnati in una delle consuete esercitazioni e gli scoppi che ci giungono subito dopo ne danno conferma. La strada si allunga, ma non c’è alternativa. Aggiriamo il poligono e, proprio quando la stanchezza incomincia a farsi sentire, ci accorgiamo di essere arrivati laddove à custodito un bel pezzo di storia: qui hanno vissuto i “pezzi grossi” dell’Imperial Regio Governo Austro Ungarico. Una vera Reggia. Poi la storia lo ha trasformato ed ha assunto funzioni molto diverse. E ora risuonano ogni anno le note della musica di Gustav Mahler.https://www.youtube.com/watch?v=vOvXhyldUko&list=RDvOvXhyldUko&start_radio=1&rv=vOvXhyldUko&t=17
Ritornare nello stesso posto ogni anno può far pensare a lunghe giornate noiose. Può succedere, ma non è sempre così. Può succedere di frequentare lo stesso ristorante o di sceglierne un altro per la curiosità di assaggiare nuove pietanze, può succedere di inoltrarsi sempre sullo stesso sentiero e scoprire invece che tante cose sono cambiate, può succedere che ti affacci al balcone come tutte le sere per godere le variazioni di colori e luci all’approssimarsi del tramonto o, poco dopo, alzi lo sguardo, è già buio e da dietro gli Scarperi si è affacciata la luna.


E così ti rendi conto che nel silenzio si riaffacciano, insieme alla luna le parole di una poesia …
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga di mirar queste valli?
Leopardi. Certo! No comment, per carità! Vi piacerebbe sentirla tutta?
Anche questo è riscoprire …
CANTO NOTTURNO
DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
la vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
move la greggia oltre pel campo, e vede
greggi, fontane ed erbe;
poi stanco si riposa in su la sera:
altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? dimmi: ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
mezzo vestito e scalzo,
con gravissimo fascio in su le spalle,
per montagna e per valle,
per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
al vento, alla tempesta, e quando avvampa
l’ora, e quando poi gela,
corre via, corre, anela,
varca torrenti e stagni,
cade, risorge, e piú e piú s’affretta,
senza posa o ristoro,
lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
colá dove la via
e dove il tanto affaticar fu vòlto:
abisso orrido, immenso,
ov’ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
è la vita mortale.
Nasce l’uomo a fatica,
ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
per prima cosa; e in sul principio stesso
la madre e il genitore
il prende a consolar dell’esser nato.
Poi che crescendo viene,
l’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
con atti e con parole
studiasi fargli core,
e consolarlo dell’umano stato, altro ufficio piú grato
non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
perché reggere in vita
chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
è lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
e forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
che sí pensosa sei, tu forse intendi
questo viver terreno,
il patir nostro, il sospirar, che sia;
65che sia questo morir, questo supremo
scolorar del sembiante,
e perir della terra, e venir meno
ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
il perché delle cose, e vedi il frutto
del mattin, della sera,
del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
rida la primavera,
a chi giovi l’ardore, e che procacci
il verno co’ suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
che son celate al semplice pastore.
Spesso quand’io ti miro
star cosí muta in sul deserto piano,
che, in suo giro lontano, al ciel confina;
ovver con la mia greggia
seguirmi viaggiando a mano a mano;
e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
— A che tante facelle?
che fa l’aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensa? ed io che sono? —
Cosí meco ragiono: e della stanza
smisurata e superba,
e dell’innumerabile famiglia;
poi di tanto adoprar, di tanti moti
d’ogni celeste, ogni terrena cosa,
girando senza posa,
per tornar sempre lá donde son mosse;
uso alcuno, alcun frutto
indovinar non so. Ma tu per certo,
giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
che degli eterni giri,
che dell’esser mio frale,
qualche bene o contento
avrá fors’altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d’affanno
quasi libera vai;
ch’ogni stento, ogni danno,
ogni estremo timor subito scordi;
ma piú perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
tu se’ queta e contenta;
e gran parte dell’anno
senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
e un fastidio m’ingombra
la mente; ed uno spron quasi mi punge
sí che, sedendo, piú che mai son lunge
da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
e non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
non so giá dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
o greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
— Dimmi: perché giacendo
a bell’agio, ozioso,
s’appaga ogni animale;
me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale? —
Forse s’avess’io l’ale
da volar su le nubi,
e noverar le stelle ad una ad una,
o come il tuono errar di giogo in giogo,
piú felice sarei, dolce mia greggia,
piú felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
forse in qual forma, in quale
stato che sia, dentro covile o cuna,
è funesto a chi nasce il dí natale.
Decisamente normale. Senza grandi imprese. L’età, ormai, condiziona irreparabilmente la realizzazione delle aspirazioni che la montagna ogni volta sollecita, ma la “maturità” aiuta a scoprire il bello, l’interessante, il gradevole, laddove in gioventù, forse, i cinque sensi nemmeno lo percepiscono.
Lo stesso “esserci” in montagna. Dopo un infarto, poi … Dopo che i medici ti avevano suggerito di non oltrepassare una certa quota: chi mille, al massimo milleduecento, poi, a oltre due anni dall’episodio, ti viene da far prevalere, tra i tanti, il parere illuminato di quel dottore che aveva sentenziato: “Zacchiroli! Perché tutti questi timori? Pensi prima di tutto che prima andava in montagna da malato e ora che l’abbiamo praticamente messo a nuovo, va in montagna in perfetto ordine”. È questa la riflessione che preferisco. Senza esagerare, naturalmente, ma ormai quello stent applicatomi l’11 febbraio del 2020 sembra fare il suo dovere e, pertanto, montagna sia!
Certo, c’è montagna e montagna e se deve essere montagna, che siano Dolomiti. Non sento il bisogno di Himalaya, Montagne Rocciose, picchi andini o Kilimangiaro. Rivedo volentieri San Candido e Siusi. Un po’ di nostalgia per le ferrate frequentate in passato non manca, ma sano realismo e saggezza acquisita ti aiutano a mettere il cuore in pace.
A San Candido ci aspetta un maso ideale con un balcone di trenta metriquadri affacciato a mezza costa su una parte di Pusteria a partire dallo spartiacque che separa le acque dirette all’Adriatico da quelle dirette al mar Nero. Arrivi lì e, neanche il tempo di salutare chi ti ospita, apri porte e finestre, metti piede sul balcone e … respiri.

Col naso, ma soprattutto con gli occhi. Può essere mattina, può essere sera, anche notte, può essere sereno, piovere a dirotto, vento che piega gli alberi, è bello anche così, perché passa e a sorpresa, da rimanere a bocca aperta, ti accorgi che è apparso l’arcobaleno. Un abbraccio convinto, sorridente, allegro, ottimista. Buon segno!

Sì!, ha l’aria di una favola. E, invece, è una storia vera. Nata cinquantasei anni fa tra giovani uomini che amavano stare insieme, amavano cimentarsi, ammiravano i campioni, nel caso specifico quelli del ciclismo fino ad alterare i propri cognomi e attribuirsi reciprocamente quello degli assi in auge in quel periodo.
Ma appassionati anche della “bici” e curiosi esploratori del proprio ambiente di vita: per quella volta 111 km sfidando la montagna alle spalle di casa propria. Per me, di qualche anno più grande, teatro della linea gotica nella mia primissima infanzia, al tempo luogo delle prime, ricchissime, esperienze professionali, ora immagini incancellabili visive ed emotive insieme.

Questa dodicesima tappa mi fa pensare che ce ne siano state altre undici prima …

Le due cartoline mi richiamano diversi periodi della vita: Loiano, un anno da dirigente scolastico, Castel dell’Alpi mi porta molto indietro nel tempo, alla formazione tragica di quel lago nel 1951, quando a dieci anni, niente televisione, vidi le immagini dell’evento al cinema durante una “Settimana INCOM”, una sorta di notiziario che veniva diffuso nelle sale cinematografiche nell’intervallo tra una proiezione e l’altra.

Veniste a trovarmi? La testimonianza di Adriano Gironi è inoppugnabile, la descrizione richiama elementi non certo di fantasia .
Lavoravamo tutti di fantasia. Per me Coppi era stato il più grande, ma ancora li seguivo in TV i grandi campioni del momento. Da piccoli, all’epoca di Coppi e Bartali c’era una rivalità diabolica che spesso sconfinava nella politica e se Bartali era dell’Azione Cattolica, irrimediabilmente Coppi doveva essere comunista … E come potevo andare d’accordo con me stesso, io, irreprensibile chierichetto, “coppiano” senza incertezze? Eppure … Non scoppiava di certo la guerra. Al massimo potevamo vedercela a “coperchini” sulla pista tracciata col gesso sul marciapiede.
La radiocronaca sul diario di Gigi è straordinaria per la capacità di ricondurre la mente a quell’epoca: par di vederli quei cinque eroi fin dal ritrovo alla Baracchina all’angolo Massarenti Albertoni e poi, un po’ insieme e poi sgranati, ma sempre capaci di ritrovarsi insieme fino alla meta. Che epopea!
Se non volete fare lo sforzo di leggerla sulle foto, eccola qua trascritta in stampatello.
12a Tappa
Bologna – Rioveggio -Madonna dei Fornelli – Castel dell’Alpi – Ca’ di Pallerino – Monghidoro – Bologna
Totale Km 111
Il dì 17-6-66
Paolo Marabini
Luigi Cristiani
FERDINANDO CONTI
… Fortuzzi
Remo Piretti
GSC
__________________
ROTOTOUR
Ritrovo alle 7 alla baracchina di Carlo. Partenza alle 7,30, poiché Piretti ha dato una cosiddetta regolatina al cambio, facendo saltare tutto.
Al Sasso, Cippa si stacca. Sulla rampa tra Vado e Rioveggio anche Fortuzzi perde contatto dai primi. A Rioveggio Conti, Piretti e Marabini hanno un minuto su Fortuzzi e quindici minuti su Cippa che ha proseguito con stanca fermezza.
Partenza dopo una opportuna sbaffata ed ancor Renzo e Cippa perdono contatto coi primi sui primi tornanti per San Benedetto di Val di Sambro. In testa l’andatura, prima sostenuta per gli scatti di Piro e Paolo, rallenta quando la salita comincia a farsi sentire per durezza e lunghezza. A 1 km da St. Benedetto breve crisi di Piro che poi si riprende. Intanto cresce Conti. I primi tre si fermano a St. Benedetto e aspettano gli altri due. “Cippa” intanto ha superato Renzo.
Si riparte e i soliti due si staccano di nuovo.
In testa i tre fratelli “Bianchi”procedono regolari, Piro e Paolo stanno tirando gli ultimi, Conti, invece, forte del suo allenamento, procede facilmente. Ma non scatta e così arrivano al culmine tutti e tre insieme. La discesa su Castel dell’Alpi provoca la selezione.
Queste le posizioni al ponte sul lago: 1° Conti, 2° Piro, 3° Paolo, 4° Cippa, entrambi in ritardo.
Dopo aver spedito alcune cartoline, si va a Ca’ di Pallerino dal maestro Vincenzo Zachiroli che accoglie i vari Gigi Zilioli, Nando Motta, Remo Gimondi, Paolo Adorni, Renzo Dancelli con calorosa festosità.
Dopo quella lieta pausa si comincia il cammino di ritorno.
Ultima fermata al Bar Esso di Monghidoro e si attacca la bella discesa per Bologna.
Cippa si stacca dinuovo e arriverà a Bologna con 10 minuti di ritardo.
Renzo si stacca nella discesa tra Loiano e Sabbioni, perché non riesce a seguire gli altri tre lanciati dietro ad una macchina americana. Poi Renzo si ricongiunge nel falso piano verso Livergnano. Ma lo strappo prima del paese segna la sua definitiva condanna.
Questi i passaggi a Livergnano: 1° Marabini, 2° Conti. 3°Remo. Appena inizia la discesa, con pendenza del 13%, Conti sorpassa Marabini e acquista terreno anche su Piretti.
A Pianoro, al termine della lunga, ma bellissima discesa, Piro e Paolo ricuperano lo svantaggio su Nando. Poi niente più da segnalare fino a Bologna dove gli arrivi si susseguono in questo ordine:
Ore 14 Conti, Marabini, Piretti;
Ore 14,02 Fortuzzi;
Ore 14,10 Cristiani (pacifico!!!)
Mi attrae il titolo di un articolo:
Una corrente oscura inghiotte la Russia. Ci salvano gli acrobati
Leggo tutta la pagina e imparo così che si parla di un libro. Anzi di due.
Lascia che il mondo giri e Apeirogon (traduzione di Marinella Magrì, Feltrinelli, 2021) che ha vinto il 18° Premio letterario internazionale Tiziano Terzani. Ambedue dello stesso autore, Colum McCann.
Per ora ho iniziato a leggere il primo e sono rimasto affascinato dal prologo, una descrizione che svela un’abilità narrativa davvero straordinaria. Per questo ho deciso di leggerlo a voce alta, registrarlo e farlo ascoltare a un po’ di amici. Sempre per avviare il motore della curiosità.
Un fatto vero:
Il mattino del 7 agosto 1974, Philippe Petit compie la sua più famosa e spettacolare: la traversata delle Twin Towers del World Trade Center di New York.
Sono le 07:15 quando raggiunge il tetto della Torre Nord, aiutato dai suoi complici nell’installazione dell’attrezzatura, e si prepara a salire su un cavo di acciaio spesso poco meno di 3 centimetri, sospeso a 417,5 metri dal suolo.
Ora potete ascoltare …
Credo proprio che Ennio meriti almeno un ricordo da parte di questa sua e nostra città per la quale Egli ha speso buona parte della sua vita. Lo abbiamo accompagnato in tanti nel suo ultimo viaggio. Ci manca la sua presenza, il suo volto ormai simbolo di un periodo di sofferenza e di lotta. Non ho potuto fare a meno al termine della messa del suo funerale di ricordarlo ai presenti lèggendo poche parole dettate soltanto dalla riconoscenza e dall’affetto.
Caro Ennio,
Parlare con te comporta sentire, insieme, affetto, gratitudine e soggezione. Affetto perché con lo sguardo e le parole comunicavi sempre un’istintiva empatia, gratitudine per averci regalato, senza indugio, ancora ragazzo, a rischio della vita, la libertà di cui ancora oggi godiamo, ma anche un po’ di soggezione, perché il tuo esempio ci impone di non essere da meno e seguire la strada che insieme ad altri giovani generosi hai tracciato è, a dir poco, impegnativo. Richiede talora di essere pronti ad affrontare pericoli estremi nel solo nome della dignità, dell’essere uomini.
La tua partenza ci lascia soli, proprio ora che non lontano dai luoghi della tua e della nostra vita ci giungono e ci inseguono da meno di un mese l’eco e le immagini di una guerra, lo sforzo sovrumano di un popolo che non vuol perdere la libertà e il diritto di auto determinare il suo futuro.
Come il nostro popolo, quello che tu continuavi a incarnare e nobilitare ogni giorno con la tua presenza in piazza, ogni anno celebrando di lapide in lapide, la conquista della libertà insieme alla tua e nostra città. Ora non ti vedremo più, ma ti penseremo come se tu ci fossi ancora. Rimarrai presente nelle nostre menti. Dove sei andato Ennio? Possiamo pensare liberamente, ma riesce difficile dirti “riposa in pace”. Di uno come te c’è sempre bisogno. Della tua forza d’animo, del tuo coraggio, c’è sempre un gran bisogno. Riposa il minimo indispensabile, ma tieni desta, nella mente e nei cuori umani la forza di aspirare e lottare per i valori in cui non hai mai smesso di credere e hai trasmesso con la parola e con l’esempio.
Castel San Pietro T. 24/03/2022
Il cordoglio del sindaco Fausto Tinti per la scomparsa di Ennio Frabboni, presidente onorario Anpi
Pubblicata il 22 marzo 2022 | News
Un’altra triste perdita per la città di Castel San Pietro Terme. E’ scomparso Ennio Frabboni, presidente onorario dell’Anpi di Castel San Pietro Terme. Aveva 95 anni e da alcuni mesi risiedeva nella Casa protetta comunale La Coccinella.
«Ennio era una persona speciale, per me come per tantissimi cittadini di Castel San Pietro Terme – afferma il sindaco Fausto Tinti -. Era molto conosciuto e stimato per i forti principi e i valori autentici a cui ha dedicato la sua vita. E tutti gli volevano bene perché era un uomo aperto, gentile e generoso. Siamo certi che la sua forza e il suo coraggio saranno di esempio per le generazioni future. Esprimo cordoglio e sincera vicinanza ai famigliari da parte della Giunta, del Consiglio Comunale e del presidente Tomas Cenni, e di tutto il personale dell’Amministrazione comunale con cui Ennio aveva rapporti di sincero affetto reciproco e una frequentazione assidua».
Ennio Frabboni era nato a Castel San Pietro il 16 novembre 1926. E’ stato per molti anni presidente dell’Anpi di Castel San Pietro Terme e, dopo che gli è succeduto Davide Cerè, un amico che gli è sempre stato vicino, è divenuto presidente onorario.
«Cresciuto in un ambiente antifascista (anche la madre Agata Frabboni aveva collaborato con la Resistenza) – racconta Davide Cerè, presidente dell’Anpi di Castel San Pietro Terme -, all’età di soli 17 anni fece la scelta di entrare nei Sap di Castel San Pietro Terme con compiti di sabotaggio, propaganda, recupero armi e munizioni. Dopo la guerra, è stato sempre impegnato come volontario nella vita politica e sindacale cittadina, divenendo un punto di riferimento per le amministrazioni comunali e per la comunità. Fino a quando gli è stato possibile, Ennio ha sempre partecipato alle iniziative organizzate dell’Amministrazione Comunale. L’ultima, poco prima dello scoppio della pandemia, è stata quella a novembre 2019 per ricordare il pilota americano Loren Hinz con una delegazione statunitense di familiari e militari».
Nel 2017 gli era stata conferita la Medaglia della Liberazione dal Ministero della Difesa insieme ad altri 11 partigiani castellani, in una cerimonia organizzata da Comune e Anpi alla scuola Pizzigotti.
La più grande soddisfazione per lui è stato l’incontro a settembre 2014 dei tre veterani che avevano combattuto su fronti opposti sulle alture castellane durante la seconda guerra mondiale e che dopo 70 anni si sono stretti la mano in una suggestiva cerimonia presso i ruderi della chiesa di San Martino a Montecalderaro (nella foto in alto a destra, da sinistra: il sindaco Fausto Tinti, i tre veterani, Ennio Frabboni, Davide Cerè).
18 marzo 2022, ore 0.45 FOLLIA
Sono un po’ tutte uguali queste giornate di guerra per noi che, per ora, le viviamo da spettatori, senza capire perché.
Non è cambiato molto da ieri. I soldati Russi bombardano, gli Ucraini si difendono e finora resistono.
Eroicamente. Questo dicono le nostre TV.
Ma oggi qualcosa è cambiato.
In questa folle vicenda si è inserito il signor Paramonov, direttore del dipartimento europeo del Ministero degli Esteri Russo.
Se l’è presa con il nostro ministro della Difesa, definendolo uno dei falchi nella campagna mediatica anti russa e minacciando l’Italia di conseguenze irreversibili nel caso di ulteriori sanzioni.
22 marzo 202 2, ore 23.18 INTERDIPENDENTI
Non è del tutto vero che queste giornate di guerra siano tutte uguali. In parte, sì. Ma oggi Zelensky ha parlato al Parlamento italiano. Ovviamente in streaming. Questo, di un capo del governo di un Paese in guerra che parla al parlamento degli altri paesi del mondo è decisamente un fatto nuovo. Almeno per noi italiani lo è in assoluto. Perché, per noi italiani, questa guerra comincia a farsi sentire in modo abbastanza diverso dalle altre che dalla fine della seconda guerra mondiale si sono succedute sul globo. Quattro giorni fa avevo scritto che la vivevamo da spettatori. Già da oggi non sono più d’accordo con questa mia affermazione. Questa guerra conferma invece, se non lo avessimo ancora capito bene, che su questo pianeta siamo decisamente interdipendenti.
Non solo le frasi di un alto funzionario russo che minaccia il nostro paese di conseguenze irreversibili fanno pensare che pur non avendo dichiarato guerra a nessuno siamo coinvolti in pieno, ma l’intervento del presidente ukraino a Montecitorio, pur nella sua virtualità, rende totalmente concreto questo coinvolgimento. Le bollette di gas, luce e acqua sono state il primo campanello d’allarme, ma non c’è solo questo.
Non posso dimenticare che il prezzo della benzina stava prendendo un abbrivio preoccupante e solo un deciso intervento del governo lo ha un po’ abbassato riportandolo a un prezzo ragionevole. Ma già anche altri beni di consumo avevano subito rincari consistenti. E la replica del nostro premier ha dato piena conferma a questa sensazione di coinvolgimento: le cifre citate a proposito dei profughi, la disponibilità ad accoglierli, la rapidità necessaria nell’intervenire economicamente e anche per incrementare i mezzi di difesa, fanno pensare che sulle nostre città nessun aereo ha lasciato cadere missili o bombe a grappolo, ma questa operazione militare speciale ci riguarda.
Speriamo da lontano.
Sono passati 27 giorni dall’inizio, ma ancora non si capisce perché.
La notte porta consiglio, dicevano i nostri vecchi. Non so se anche oggi ne porti. Molti ne avrebbero bisogno.
A me, che sul tema so di essere impotente, fa affiorare confuse nebulose di pensieri.
A volte i fatti del giorno si stampano nella mente. Più spesso sono proprio quelli che invece vorrei cancellare. Ma si imprimono e sono così strenuamente aggrappati alle sinapsi che non posso fare altro che seguirne l’evolversi. Ai fatti si uniscono le emozioni e, come in un film, si sviluppano riflessioni, idee, giudizi, rabbie, speranze…
Questa guerra che non è nemmeno una guerra, che chiamarla guerra è un complimento, è un fortissimo stimolo a questo onirico vagare verso est, oltre la cerchia Alpina, oltre il Danubio, là dove la lingua si allontana dalla nostra parlata neolatina financo nei segni della scrittura, quelli di Cirillo e Metodio.
Questa guerra è incomprensibile. Non ci sono due entità che si sono dichiarate reciprocamente in stato di guerra l’una contro l’altra. C’è chiaramente un aggressore e, altrettanto chiaramente un aggredito.
Ma nel mondo non c’è solo l’Ucraina in queste condizioni. Non solo a Kiev, non solo a Odessa, non solo a Charkiv, a Zaporizzja, a Leopoli si muore senza motivo, donne e bambini fuggono, fuggono verso l’ignoto o inseguendo qualche debole speranza di una nuova vita, trascinando un trolley con lo stretto indispensabile e, forse, una foto o un oggetto del cuore.
Niente di veramente nuovo.
L’abbiamo vista anche a Kabul la speranza disperatamente aggrappata al carrello di un aereo ormai decollato. Resistere e infine cedere. Precipitare e morire come mai nessun altro. Anche da sud verso i confini dell’Europa marciano processioni di famiglie che trovano barriere e fili spinati …
E il Mediterraneo. Chi l’avrebbe immaginato che saremmo stati capaci di trasformare il Mare Nostrum in un cimitero subacqueo? Eppure siamo stati capaci anche di questo.
Ma che mondo è questo?
Ma chi siamo?
Abbiamo studiato la storia, pensavamo che dopo la Shoah non avremmo più sperimentato niente di simile.
Chi ha la mia età ha sperimentato nei primi anni di vita l’abbandono della propria casa e lo “sfollamento” in posti più sicuri. Ha nella memoria le sirene dell’allarme e le fughe nei rifugi antiaerei. Non dimentica l’ospitalità offerta da parenti e amici. Ricorda la carenza di cibo cui faceva fronte la ricerca quotidiana dell’essenziale anche lontano da casa. Patate …
Abbiamo letto il diario di Anna Frank, abbiamo celebrato più di settanta volte la fine della guerra e la liberazione dall’alleato divenuto oppressore, abbiamo costruito l’Unione Europea, abbiamo dato vita ad organismi e associazioni che operano quotidianamente a favore della pace, abbiamo premiato col Nobel chi più di altri si è impegnato per ottenerla o conservarla, abbiamo fondato la scuola di Pace di Monte Sole, abbiamo marciato ogni anno fino ad Assisi …
Abbiamo sventolato mille volte la bandiera della pace…
Sventola accanto al tricolore una bandiera blu con dodici stelle …
E poi?
E poi, non basta.
Pensando ai piccoli ultimi
Era freddo, minacciava pioggia, non verrà nessuno …. invece
Invece, fin dal primo mattino … è presente IL GAZEBO DELLA SOLIDARIETÀ con i suoi indiscutibili messaggi invitanti a rallegrare la propria casa con un fiore, una stella di Natale o un ciclamino il cui ricavato avrebbe incrementato la raccolta fondi per bambini denutriti di Bukavu e dintorni. E lì accanto, per chi voleva approfondire, un messaggio scritto, il cinguettio di UN COLIBRÌ.
L’esempio trascina e, come il colibrì, in tanti hanno fatto la loro parte, acquistando un fiore o anche soltanto lasciando un contributo.
Ma in tanti son venuti a dare una mano restando con noi o sostituendoci sotto il gazebo. Gli alpini hanno donato il vin brûlé per il pomeriggio di sabato e un amico lo ha rifornito per la domenica …
E così l’affluenza è diventata incessante… e il vin brûlé si trasformava in bouillie, la pappa energetica per i fratellini e le sorelline di Bukavu.
Il freddo non dava tregua, ma l’allegria non mancava. Poi, in chiusura di questa bellissima “due giorni” comunitaria, ecco comparire LA BANDA … e con la Banda, il SINDACO !!!
È passato un anno da quando si inaugurava, sotto il portico dell’ex Pretura una piccola retrospettiva di una bella esperienza “Castellana” avvenuta nel 2005.
I giovani di oggi, allora, non erano ancora nati o erano piccolissimi, ma gli adulti ricordano che la città di Castel San Pietro, aperta come sempre al mondo, aveva raggiunto un grande obiettivo: la costruzione di due acquedotti in due villaggi al centro dell’Africa. La nostra città sa ancora come si fa a “dare una mano”, come si dice qui: ci si mette insieme, si passa la voce e se necessario, si mette la mano in tasca.
E così è stato anche a Natale 2020.
Non c’era bisogno di un nuovo acquedotto, ma della pappa per i piccoli di Bukavu.
Raccogliemmo il necessario. La generosità abbatté ogni resistenza e i fratellini di Bukavu ebbero la “bouillie”.
Ma sappiamo tutti che questi bisogni sono ancora presenti. I nostri amici e soprattutto le nostre amiche Africani ce la mettono tutta, ma non basta mai. Di piccoli bisognosi di un cibo adatto per uscire dallo stato di denutrizione ce ne sono ancora e qui non ci siamo dimenticati.
La. raccolta è cominciata spontaneamente, prima ancora che ci ricordassimo di rammentare che Natale ritorna anche nel 2021 e … forse … possiamo dare una mano anche quest’anno, con un sorriso e … mettendo la mano in tasca.
Ci sarebbe piaciuto molto parlare con tutti voi di persona. Di riferire come va Bukavu e dintorni. Del continuo lavoro che a Bukavu si svolge per favorire la soluzione di problemi di sopravvivenza, di sicurezza, di salute, di istruzione, di lavoro, di sviluppo. Molte cose potremmo e vorremmo raccontarvi. Speravamo, ma la prudenza ci fa preferire di aspettare. Dobbiamo riuscire a sconfiggere il virus. Nel frattempo usiamo tuti i mezzi di cui disponiamo per comunicare. Il filmato che trovate qui è dello scorso anno, ma è valido anche per questo Natale.
Sperando di incontrarvi sotto i portici di Castello, all’aperto, debitamente mascherati, auguriamo a tutti e a tutte buon Natale!
E subito dopo di trascorrere feste serene e un 2022 di pace!
E per fare un versamento …
ASSOCIAZIONE SENTIERI DI PACE ODV
IBAN IT70C 08883 36750 01100 00588 60
Specificando la causale:
Erogazione liberale pro Bukavu
oppure:
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