Grande e piccolo insieme, questo mondo, questo pianeta Terra, di cui, giorno per giorno, ascoltiamo, osserviamo, ormai quasi senza provare emozioni, vita, morte, miracoli, bombe, carri armati, droni, campi profughi, alluvioni, frane … E ci facciamo un’idea di come va la vita dell’umanità attraverso le notizie diffuse dai canali televisivi. Rifletto fra me e me e penso che la scelta dei media ai quali ricorro riguarda, in questo periodo, i femminicidi, il Medio Oriente incendiato, l’Ucraina sotto scacco, i bilanci dello Stato e dell’Unione Europea, alcuni commenti sulla politica italiana, l’intelligenza artificiale, qualche processo e poi … sport e spettacoli. Da quante settimane veniamo informati nei minimi particolari su ciò che ci propinerà il festival di Sanremo? Niente di male, argomenti sui quali si fissa talora anche la mia attenzione, ma se mi soffermo e provo a focalizzare su ciò che mi interessa davvero, i fatti più vicini alla mia sensibilità quotidiana, la panoramica si allarga e appaiono in primo piano altri luoghi, altri volti, altri eventi che vorrei maggiormente esplorati dall’informazione a più ampia diffusione e agevole fruizione. Vorrei saperne di più. Vorrei sapere di più su ciò che si fa “in positivo” per superare le difficoltà, per prevenire, per costruire, per avvicinare, perché sono convinto che ci sono al mondo realtà che operano per farci stare meglio e di quelle dobbiamo sapere perché sono anche convinto che l’esempio trascina.
È come per lo stato di salute dei tuoi familiari, dei tuoi amici. Vuoi sapere come va, ma soprattutto come procedono le cure, se è necessario adeguare, esplorare altre vie, avviare processi nuovi. E mi viene da pensare a quale futuro si prospetta per Arisha e gli altri e le altre che frequentano i sabati mattina dell'”Aiuto compiti” della mia parrocchia e si sforzano di leggere frasi che non capiscono. Ma anche dei loro compagni e compagne di scuola la cui lingua nativa è la stessa di me maestro e mi chiedo se la scuola ha sempre e dovunque, a cominciare da chi la guida, la percezione dell’importanza del compito e gli strumenti per svolgerlo con profitto. E ho pensato ai nostri amici di Bukavu. Per me una storia iniziata quasi venti anni fa. Con e per la generosità di alcune persone sensibili e illuminate, toccò a me volare là dove la fantasia non riusciva a rappresentare la quotidiana fatica di vivere e anche solo sopravvivere, per raccogliere il sorriso, il canto e le danze di donne felici che domani si sarebbero risparmiate la fatica di non so quanti kilometri a piedi per trasportare l’acqua per la propria capanna e la propria famiglia. …. Sentivo il bisogno di sapere. Gli amici, i cosiddetti benefattori, mi aiutarono e guidarono nell’esplorazione. E dopo l’acqua sgorgata dal rubinetto della fontana che mi lasciarono l’onore di inaugurare, vidi all’opera Pierre mentre con alcune ragazze locali sfogliava un testo di agronomia, vidi i campi con i prodotti frutto dello studio e di queste iniziative, vidi e presi parte ad un’assemblea in preparazioni delle elezioni che si sarebbero svolte di lì a poco.
Sono passati quasi venti anni da allora e, figurarsi se non mi incuriosisce ancora la vita politica della Repubblica Democratica del Congo. Ma i nostri media non ce ne parlano. Allora ho cercato e ho trovato. La fonte mi pare attendibile e aggiornata. https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/elezioni-in-congo-riconfermato-tshisekedi.html
Per ora basta così. Ma so che tanti amici e tante amiche vorrebbero sapere ancora di più. Alla prossima, allora! Ma partendo da questo link, ognuno potrà anche esplorare e andare oltre…

Abito da molti anni a Osteria Grande, un paese sulla via Emilia a una ventina di chilometri da Bologna in direzione del mare Adriatico. Non sono nato qui, ma mi ci hanno portato la vita e le condizioni economiche. A riflettere su questo scorcio di periferia tra l’industriale e il rurale, mi ha portato, invece, una scritta sul muro del Centro Commerciale. Eccola qua.
Purtroppo l’operazione “cancellazione” non è andata completamente a buon fine e quella volgare affermazione non mi ha lasciato indifferente. Ma dove sono finito? Mi sono chiesto più volte. Osteria Grande non si differenzia molto da tanti altri agglomerati che la via Emilia snocciola lungo tutto il suo percorso rettilineo che va da Piacenza a Rimini. Ma una definizione così perentoria e totalmente negativa non poteva lasciarmi indifferente. E così, di tanto in tanto, mi sollecita qualche riflessione. Modesta, ma convinta.
Ascoltate …
Proprio qualche sera fa, lungo il percorso scelto per il quotidiano allenamento, mi ha sorpreso il verso del cuculo e istantaneamente mi sono sentito in compagnia. Avrei voluto rispondergli, chiedergli chi sei? … Ho alzato lo sguardo, ho esplorato curioso tra quelle fronde di questa foresta poco dietro casa mia. Troppo difficile per un uomo di città, ma tornerò.
Ma, l’altra sera le sorprese non erano finite. Pochi passi e mi sono ritrovato avvolto da una nuvola profumata seguendo la quale sono giunto alla fonte di quel benessere gentile. Secondo me dal breve filmato si scopre dov’è. Volete godere di questo delizioso profumo?Fate presto perché la fioritura dei gelsomini non dura in eterno. Sennò basta armarsi di santa e tanta pazienza, perché sarà la prossima primavera a inondarci del loro effluvio inebriante.

18 giugno. Che succede? Un incendio? Ma no! Un tramonto da fare invidia agli orizzonti più belli, marini o montani che siano. Che silenzio! Poca gente per strada. Le macchine? Parcheggiate. Dev’essere caldo. Lo é. Il mare non c’è. Vero. Mica si può avere tutto. Fotografo un cielo che fa sognare. Incontro un amico e ci soffermiamo a commentare. Il clima è cambiato. Mettiamo il cappotto alle case …
Non si può dire tutto in una sera. Sarà allora il caso di riandare un po’ indietro con la memoria, alle camminate nei dintorni, perché Osteria Grande ha dei meravigliosi dintorni. Dolci colline ammantate di ulivi, coltivazione ripresa di recente che già produce olio di pregio e si affianca a invitanti filari di sangiovese, albana, trebbiano e compagnia. Sono sempre di più coloro che azzardano qualche chilometro di trekking e diffondono la passione dell’esploratore lungo tratturi e cavedagne colorate di giallo, d’azzurro, di rosso e immancabilmente di verde.
Belli, vero?
Molto altro ci sarebbe da dire per rispondere a chi pensa di definire un paese con una parola dettata, credo, unicamente dalla rabbia. Ci proverò, perché gli elementi di certo non mancano. Spero soltanto di trovare tempo e voglia, ma credo che questi pochi spunti smentiscano decisamente quella indecente definizione che ancora campeggia su un muro del Centro Commerciale.
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Anche lì?
È questa la domanda che di frequente abbiamo sentito affiorare sulle labbra degli amici cui abbiamo confidato la nostra preoccupazione per quanto sta succedendo in Congo, in particolare nella regione più a est, al confine con il Ruanda. Lì, dove furono inaugurati ai primi di marzo del 2005 due acquedotti finanziati dai cittadini di Castel San Pietro e di Imola. C’ero anch’io, insieme a cinque giovani imolesi a rappresentare il generoso intervento di Castello e a prendere atto de visu della serietà dell’opera avviata da Giovanni Bersani, cittadino castellano ad honorem, opera mirata a sollevare quelle popolazioni dalla povertà e dallo sfruttamento, cercando di dar loro una mano a conquistare giorno per giorno una vita degna delle umane aspirazioni.
Davvero anche lì è scoppiata una guerra?
Non è proprio così. La guerra, nelle sue fasi più o meno atroci c’era anche allora, quando con la mia faccia aliena mi aggiravo per Bukavu e dintorni a raccogliere la gratitudine delle donne, tante, felici e orgogliose di mostrare le rigogliose coltivazioni frutto del loro lavoro di vanga e di zappa. Anche di qualche uomo, autorità, soldati e briganti, per la verità. Briganti, appunto, perché anche allora poteva accadere, ed accadde, che in casa dell’ingegner Justin Ntaboba, progettista degli acquedotti, si facessero vivi quelli dell’M23 con intenzioni razziatorie e il nostro gruppo italiano fosse scortato lungo i venti chilometri di percorso per raggiungere Mubone e godere i canti felici di donne intorno all’acqua appena sgorgata.
Sì, la guerra c’era anche allora, c’era dagli anni novanta, c’era stato un genocidio causa di centomila morti. Ma tra quegli orrori si affacciavano di tanto in tanto, brevi periodi di pace, durante i quali la popolazione cercava di risollevarsi e conquistare un livello di vita appena sopra la sopravvivenza. Ma era Africa. Era lontano.
Sì, ora però la guerra si è risvegliata nel modo più crudo. Chi vive lì deve chiudersi in casa per salvare almeno la vita, le scuole chiudono, i mercati pure, l’elettricità e l’acqua non arrivano. Pierre, il nostro riferimento per tutte le iniziative che anche noi abbiamo visto nascere, crescere e sostenuto, c’è e ci tiene al corrente.
Sentieri di Pace si sente là, oggi. Con le mamme e i piccoli della bouillie, con i bambini, i ragazzi e tutti gli operatori della Scuola di Pietro, con le donne e gli uomini delle iniziative agricole, con le famiglie che attraverso il microcredito portano avanti un progetto, piccolo o grande, ma importante. È lontana Bukavu, il cui sindaco di allora non seppe dirmi se i suoi abitanti erano mezzo milione o cinque milioni, è lontana Goma, un milione di persone dall’altra parte del Kivu, il lago più calmo del mondo, ormai in fuga. Sono lontane Muzinzi, Mubone, Kavumu come tanti nostri amici conosciuti nei fuggevoli incontri anche recenti, là da loro o qui da noi.
“Da Goma arriva povera gente sfollata dal nord e anche militari sconfitti in fuga, speriamo che l’avanzata dei ribelli Ruandesi non prenda di mira anche le nostre terre🙏🙏 possiamo solo aspettare e pregare il buon Dio, e avere fede e speranza… Dopotutto almeno aver creato una rete di vicinanza e una comunità intorno alla scuola e alla cooperativa agricola tornerà utile anche in questi tempi bui, sarà di supporto nella confusione .. Grazie per il vostro sostegno🤗” scrive Stefania Batani, amica imolese, promotrice e instancabile sostenitrice della Scuola di Pietro.
Per ora non aggiungiamo nulla. Anche di qui diciamo grazie a tutti coloro che, pur da lontano, si sentiranno vicini.
È questa la risposta che ho inviato a Maurizio Ferrari, presidente dell’associazione Sentieri di Pace, che mi chiedeva giovedì mattina di esprimermi su quanto stava accadendo in Congo. Sapeva, infatti, che avevo contattato Pierre Lokeka, responsabile delI’IMF Kitumaini, l’istituto di microcredito avviato in Congo grazie alla partnership tra l’Oratorio imolese di San Giacomo e la comunità Les amis de Don Beppe di Bukavu e con la collaborazione di Pace Adesso e della Banca di Credito Cooperativa della Romagna Occidentale. Per farsi un’idea di come e quanto si possa agire per dare davvero una mano, mi permetto di linkare questo post.
Speriamo che tutto questo non venga cancellato dall’ingordigia e dalla crudeltà umana.
Sono giorni duri questi che se ne vanno veloci e si ammucchiano in settimane e poi mesi e anni. Tanti pensieri affiorano, balzano alti, sostano e planano di nuovo. Ci rammentano che questa nostra unica vita procede insieme a quelle di altri otto miliardi di esseri umani. Però! Una convivenza per niente facile. Non da oggi. È proprio vero che non c’è nulla da fare? Non illudiamoci di poter restare inerti davanti al panorama. Conviene intraprendere il cammino. Non arrendersi. Mai.
Coraggio! Si sono aperti
SENTIERI DI PACE
Ormai ci stiam purtroppo abituando
A questa umanità così spartita
Tra chi ci vive, pure faticando,
E chi arranca dall’alba della vita.
Chissà se giungeremo nel futuro
A renderla per tutti sorridente?
È grande l’obiettivo e pure duro,
Ma senza impegno non conquisti niente.
L’unione crea la forza, lo sappiamo
Con SENTIERI DI PACE abbiam provato
Che, se il nostro piacer condividiamo,
Raddoppiano la gioia e il risultato,
Nel mondo coi fratelli festeggiamo
E il nostro cuore ancor più è riscaldato.
Ho ripescato questa riflessione in rima dopo due anni dalla sua composizione e non mi sento di cancellare tutto e buonanotte, visto che, oltretutto è ormai notte fonda. A questo punto mi è persino venuto in mente che mi sarebbe piaciuto farne un rap e avevo persino contattato chi avrebbe potuto operare in tal senso, ma poi è passato del tempo e restano solo queste parole scritte pensando a SENTIERI DI PACE, una realtà viva e vegeta che opera a fin di bene e merita di essere ricordata. Buon notte!
Chi l’aveva visto mai un presepe così? Che meraviglia, ? che idea strepitosa!!! Sprizza AMORE da ogni immagine!!! Siete proprio geniali, voi che l’avete ideato e realizzato. Ma no. Non siete stati voi. È stato Lui, il Grande Suggeritore, vero? Vi assicuro che non riuscirò a tenerlo per me… non so se diventerete famosi, ma sicuramente avete contribuito a dare del Natale l’idea più vera… Da lontano, ma vi abbraccio fortissimo. ??? Mi è arrivato stamattina. Natale era l’altro ieri, ma l’arrivo di questo presepe mi ha fatto decidere che Natale può essere anche domani o dopodomani quando immagini, parole, ricordi, ti afferrano e ti scuotono così.


L’ho letto e poi riletto. Volevo esser sicuro di aver capito bene. Condivido con entusiasmo. “Mai più” deve diventare un progetto politico. Non può e non deve restare una frase di circostanza utile a concludere le prolusioni celebrative e gli anniversari che rischiano, altrimenti, di sfocare, di volta in volta, fino ad essere – spero di no – cancellati.
Certo che il confronto, l’avere a disposizione un termine di paragone è assai utile: è così che si vorrebbe declinare l’”historia magistra vitae” di Cicerone che ormai è il caso di citare compiutamente: “«Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis» (Cicerone, De Oratore, II, 9, 36), E qui il titolo dell’articolo “Il confronto ci insegna il mondo”, anche se può apparire blasfemo per chi ha, più che giustamente, elevato la Shoah al culmine dell’efferatezza umana, conduce a riflettere sulla attuale condizione dell’umanità sul pianeta.
Non so se Gaza è assimilabile al ghetto di Varsavia. Viviamo in un’altra epoca, in un mondo diverso, non facciamo che ripetercelo. Purtroppo anche in un mondo nel quale le differenze tra esseri umani ed esseri umani sono tali da non poter essere considerate naturali. Un bambino o una bambina nati a Bologna non hanno di fronte a sé un futuro simile a un bambino o una bambina nati a Bukavu. E dico Bologna e Bukavu perché si tratta di realtà a me note. Non mi perdo ad esemplificare. Chi legge sa benissimo cosa voglio dire.
Non è solo per questo che l’umanità appare oggi divisa, impegnata in conflitti aperti o latenti …
La storia, verrebbe da dire, non ci ha insegnato abbastanza. Masha Gessen conclude con parole che sono anche la mia flebile speranza … Quei “Mai più” devono diventare un progetto politico, come fu in Italia con il percorso costituente, come fu a Ventotene per l’Europa, come al Cop 28 a Dubai qualche giorno fa, come a Pollica da qualche anno, vero Benny? … Proprio perché il mondo, rispetto a novanta anni fa è cambiato, perché abbiamo molte opportunità in più per comunicare e per capirci rispetto ad allora, perché se non basta la nostra naturale intelligenza, incominciamo a trastullarci anche con quella artificiale, perché il MALE non si nasconde alla nostra vista, ma ci appare in tutta la sua crudezza e crudeltà anche dagli schermi di vario genere che ogni giorno manipoliamo con misura e a dismisura. Anche per questo non possiamo chiudere gli occhi, non possiamo dire “non tocca a me”. Occhio! Che quel che abbiamo visto a Bagdad, le immagini di profughi in fuga, i barconi affondati nel Mediterraneo, lo sterminio di Bucha, la caccia all’uomo e alla donna, al vecchio e al bambino, nei kibbutz e per la via, le distruzioni nelle gallerie sotterranee e negli ospedali … e con i nostri occhi ogni sera vediamo al TG non è l’ultimo serial che abbiamo registrato. È vero! È proprio vero!
Che il mondo vada rapidamente cambiando, che la società si evolva di giorno in giorno, quella che entra nelle nostre case di momento in momento attraverso i media, insieme a quella vera, tangibile, formata dalle persone che incontriamo ogni giorno, non è una novità e, ormai, chi si emoziona più? Eppure domenica scorsa, 17 settembre 2023, io mi sono emozionato, perché ho toccato con mano, o meglio, ho visto con i miei occhi e udito con le mie orecchie ciò che non avrei osato immaginare. Altre volte mi era capitato di assistere a qualche esperienza teatrale sul palcoscenico della parrocchia. Qui a Osteria Grande.

O nella mia parrocchia di un tempo, quando io stesso da ragazzo avevo fatto l’attore, a Bologna, a sant’Antonio di Savena, dove solo poche famiglie e qualche bar offrivano ai vicini di casa e ai frequentatori, di passare qualche serata davanti alla televisione con le sue offerte di intrattenimento in bianco e nero.

Domenica pomeriggio invece non potevo rinunciare ad assistere alla proposta di un gruppo di signore che da tempo si riuniscono per passare qualche ora scambiando “due chiacchiere” intorno alla tombola, creando anche quel tanto di “suspense” insieme alla soddisfazione di portare a casa qualche oggettino, puntando qualche spicciolo, senza rattristarsi se la fortuna bacia qualcun altro. La proposta era sintetizzata nel volantino affisso alla bacheca della parrocchia a me giunta tramite uno dei vari social locali. Il teatro traboccava di nonne, nonni, mamme, qualche papà e un bel gruppo di nipotini. Il titolo era accattivante “PINOCCHIO”. Avevo qualche minuto di ritardo e già avvicinandomi erano giunti alle mie orecchie gli applausi di una platea a dir poco entusiasta.
È bastato entrare per rendersi conto dell’eccezionalità dell’evento e del livello della realizzazione. – Ma ci vogliono le scene, e come faranno a rappresentare il Paese dei Balocchi? E la Balena? E chi interpreterà il Grillo Parlante? E la Fata Turchina? E il Gatto? e la Volpe? Di scena in scena si svolgeva la bella favola prodotte dalla fantasia di Collodi. Non ho potuto resistere alla tentazione di scattare un po’ di foto, perché certe esperienze non è giusto goderle da soli e, allora, almeno un paio, eccole qua.
Mentre Lucignolo e Pinocchio si rendono conto che sulle loro teste son cresciute due orecchie d’asino … e sullo sfondo il Paese dei BalocchiNel bosco però, non capita soltanto di incontrare brutti ceffi. A Pinocchio succede di incontrare una bellissima Fata
Applausi a non finire. Talché arrivato a casa non ho saputo resistere e ho informato un amico giornalista.
Caro … è di un bel gruppo di nonne che vorrei parlarti. Stufe di riunirsi settimanalmente a giocare a tombola, hanno sfidato i pregiudizi dell’età e si sono cimentate in una divertente rappresentazione teatrale. E così, oggi pomeriggio (domenica 17 settembre) dal palcoscenico delle opere parrocchiali di Osteria Grande, hanno offerto ad una platea entusiasta e quasi incredula di duecento nonni, nonne, nipoti e relativi genitori una originale trasposizione teatrale di PINOCCHIO. Abbiamo così scoperto la naturale capacità di « recitare » e di coinvolgere di una gênerazione che oggi vediamo quotidianamente impegnata a supportare in molti modi le famiglie del territorio. Le stesse nonne che preparano il pranzo ai nipoti quando i genitori sono al lavoro, si sono sorprendentemente trasformate nei più noti personaggi della fiaba più amata. Si sono divertite prima di tutto loro nei panni di Geppetto, del Grillo Parlante, di Mangiafuoco, della Fatina dai capelli turchini, ma hanno scatenato gli applausi di una platea sorpresa, entusiasta e grata a chi si è cimentato nella traduzione teatrale dell’opera di Collodi, di chi ha curato la regia, di chi ha interpretato i personaggi e di chi ha dipinto le scene.
Se vuoi posso raccontarti dell’altro …” e così è stato.

Il giorno dopo una pagina di giornale quasi tutta per loro per queste straordinarie rappresentanti di un mondo di perennials che sa reinventare la figura dei nonni, soprattutto delle nonne che, non contente di tenere aperto il ristorante domestico per i nipoti, si scoprono intrattenitrici, divertendo loro stesse in primo luogo e, insieme, una bella fetta di società.
- Ci sono anni proprio difficili …
Un anno difficile! Ha esordito ieri, prima che cominciasse la messa, un caro amico particolarmente segnato, proprio in questo 2023 da due lutti familiari. Difficile anche in generale! ha continuato. E mi sono immediatamente trovato a pensare al Mondo, al nostro Mondo strapazzato dalle guerre …
Siamo stati oltre settanta anni in pace, sono quasi ottant’anni che non lasciamo lapidi a ricordo dei caduti …
Riflettevo e, rientrato a casa, ho ritrovato questo mio scritto:
SENTIERI, PENSIERI
Li ho in testa da sempre … che sballo
I sentieri …
Nei boschi, si sale, si suda, ci ho sete, si beve …
Glu glu … che bello … e tu, sì, proprio tu.
Dai! Guarda laggiù …
È piccolo il mondo, e io son quassù …
E penso.
Gran dono pensare
Cercar di capire.
Le vedo di qui son come formiche
È lunga la strada, le seguo che vanno …
che vanno, che vanno, che vanno …
Più piccole ancora e poi sempre di più …
Però che fatica. La senti anche tu?
Ti arrendi? che fai? Da umano non è…
Sentieri ce n’è:
Davanti allo specchio ti guardi negli occhi
Le senti le ali? E stendile un po’
E fai la tua parte come il colibrì.
Sentieri son anche i pensieri
Mi inseguono.
Non sempre li voglio, ma vengono
E i missili vedo, le armi imbracciate, i carri
La zeta dipinta
E tu scappa
Nascondi
Ripàrati
Dove chissà
L’allarme.
E tu corri e corri, ma dove?
E ti chiedi perché
Perché mai, perché mai, perché qui …
Perché lì …
Sentieri, sentieri di fuga
Profughi, parole mai dette, e scene mai viste …
Ma no. Non è vero. Intanto, per ora, non qui …
Sentieri di guerra?
Sentieri mai più, l’han detto, lo dicono sempre
Non basta, non basta non basta …
Ma basta. Mai più!
Ti arrendi? che fai? Da umano non è…
Sentieri ce n’è:
Davanti allo specchio ti guardi negli occhi
Le senti le ali? E stendile un po’
E fai la tua parte come il colibrì.
E vedo … le vedo, sfumate, velate, si tolgono il velo…
È nera la chioma. Che affronto! Ma coprila, dài …
Ci pensi? È bella, che orgoglio! Che fai?
Sei bella … ti vedo, sei bella!
E copriti!
Bella bellissima, ma solo per me …
E allora non vale,
Non vale,
Non vale.
Le forbici abbiamo,
Non vale la vita, la vita di donna
Che sale e cammina e cammina
Sugli aspri sentieri della libertà.
Le vedo sui banchi, costrette dai maschi
A fingersi maschi
Ma è bello sapere, ti dici, è vita sapere,
È donna sapere, ed è libertà.
Perché non per me?
Ti arrendi? che fai? Da umano non è…
Sentieri ce n’è:
Davanti allo specchio ti guardi negli occhi
Le senti le ali? E stendile un po’
E fai la tua parte come il colibrì.
Siam otto miliardi e ogni giorno di più.
I nostri sentieri van sempre più su
Son pochi alla cima
S’affannano i più
Li incontri per strada
Son sacchi di notte!
Aperta la mano che parla ed è vuota …
E fuggono altrove, ma prima c’è il mare … la meta …
La meta, la meta dov’è? La meta qual’è?
La meta, ma c’è?
È l’onda che sfiora e carezza i tuoi piccoli piedi
Di naufrago bimbo di mamma Speranza.
E babbo Coraggio.
Ti arrendi? che fai? Da umano non è…
Sentieri ce n’è:
Davanti allo specchio ti guardi negli occhi
Le senti le ali? E stendile un po’
E fai la tua parte come il colibrì.
Ci sono esperienze che non puoi dimenticare
I giorni dell’infarto
Difficile registrare qualcosa in modo ordinato in questi giorni, ma si può provare.
Casa mia. 11 febbraio 2020, fine mattinata. Un immediato, insopportabile dolore dietro le spalle che si diffonde rapido in zona sterno e lungo il braccio. Vomito. Intuisco.
É un infarto. Silvana telefona al dottore. Nessuna risposta e allora sia 118. Tempo 13 minuti l’ambulanza è davanti a casa. Scendo con i miei mezzi. Mi dicono che non c’è da preoccuparsi. E non mi preoccupo, però non perdono tempo. Decidono per Villa Maria Cecilia Hospital di Cotignola.
Da Comellini a Castel San Pietro si va a comprare prosciutto e leccornie e loro si fermano per far salire il medico che avverte del mio arrivo.
Ci siamo. Mi pare di vivere un film. Salto da una barella all’altra che già corre lungo un bianco corridoio. Brusca frenata e si materializza una sala operatoria. Divise verdi, bianche, blu, sincronie studiate e perfette, bip, luci si incrociano, monitor mostrano percorso e dati, bip, bip, bio qualcosa penetra e si insinua, rallenta, curva, bip, bip, bip…
Ci siamo. Tre e mezzo… meglio quattro? Tre. … bip, bip, bip, … Ormai sono bionico.
La lettiga è già in viaggio. Si sale, usciamo al terzo. Terapia Intensiva. Stanza n. 1.
Son passate due settimane, poco più e ormai l’ospedale è per me un ricordo. Di nuovo tra le mura di casa, il malato che è in me si sfarina giorno dopo giorno. In realtà non mi sono mai sentito veramente malato. La sofferenza fisica è terminata già al momento della partenza dell’ambulanza da casa mia, risolta da una di quelle sostanze miracolose che chi ne sa ed è lì per provvedere ti inocula immediatamente. Dopo, a farti sentire malato contribuiscono l’ambiente, i tuoi cari persino troppo assidui e attenti, la presenza continua degli addetti con le loro divise, la loro gentilezza, la loro determinazione.
E tu Ti guardi intorno e scopri. Perché l’ospedale è ricco di persone e questo, in particolare, di persone che vengono da lontano.
Salerno, Caserta, Fermo, ma anche Africa. Pelle non mente. E sarà che siamo tutti così presi dalle mille paure indotte dai mille aspetti di una globalizzazione non digerita, ma anche qui affiorano fantasiosi ragionamenti intorno a chi dovrebbe o non dovrebbe poter fruire dei servizi di un ospedale come questo.
Il discorso sta sulle generali: – Vede? Ma quanti letti in più ci sarebbero a disposizione per noi italiani? E invece …
Non mi sento di rispondere. In fondo anche lei che assiste il mio compagno di stanza è provata, sicuramente ha sofferto. Eppure dentro di me non posso fare a meno di pensare che anche il suo assistito non è proprio “del posto”.
Cinque minuti e abbiamo una visita. Un fraticello con tanto di stola pronto a farci pregare:
- Sono Padre Giuseppe! Da dove venite?
La provenienza è la prima domanda. E non può essere diversamente in un ospedale come Villa Maria Cecilia al quale si ricorre da ogni parte del mondo e nel quale operano medici di molte parti del pianeta.
Solo io di questa regione. Realizzo che la mia convinzione di essere nato nel tempo e nel luogo migliore si rafforza una volta di più. Non avevo mai verificato di persona l’eccellenza della sanità emiliano romagnola, ora con questa esperienza si colma anche questa mia lacuna.
Il mio coinquilino è marchigiano ed è in partenza. Ma dovrà tornare. Lo hanno ricoperto di prescrizioni, di consigli, di farmaci e… di un nuovo appuntamento.
Padre Giuseppe ormai si congeda. Ma io non resisto:
- E lei, padre, da dove viene?
- Ah… Indovina indovinello!
Non era difficile la risposta, ma preferisco andare per gradi - Intanto … dall’Asia.
- Bravo! Ma l’Asia è grande, fratello!
- E allora, India!
- Perfetto.
Com’è piccolo il mondo! Pochi metri quadri lo spazio, tre giorni il tempo e intorno a me ruotano italiani da Salerno, da Caserta, dalle Marche e ora dall’India…
Non passano cinque minuti e si affaccia un medico. In questi pochi giorni di permanenza non mi era ancora capitato di incrociarlo. Infatti non è venuto per me, ma per dare le ultime disposizioni al mio vicino. Divisa d’ordinanza, grande sorriso, grembiule immacolato, fonendoscopio al collo e… faccia nera. E così lAfrica non è presente solo tra gli ammalati, ma anche fra i medici.
Ce n’è da riflettere. Per tutti.
Ritrovo questo scritto due anni e mezzo dopo.
L’intenzione, allora, era di lasciare sulla carta i momenti più significativi di un’esperienza praticamente unica per me. Non avevo mai soggiornato tanto a lungo in ospedale nella mia vita di ottantenne e mi sembrava opportuno lasciare qualche piccolo flash ai posteri. Avevo già approntato anche i titoli.
Cose mai viste: L’Irene di Moraduccio
Compagni di banco
L’ecodoctor alla Cappella Sistina
Politica da Hospital
Ebbene soltanto uno di quei titoli rievoca qualche immagine, l’Irene di Moraduccio, una signora con qualche anno più di me, forse sulla novantina, una donna molto spigliata, me la ricordo chiacchierona. Nella stanza per assicurare la giusta riservatezza avevano collocato tra il suo e il mio letto un separé, ma qualche scambio di idee ci fu, qualche informazione sul luogo di provenienza e poco altro. Gli altri titoli non mi suggeriscono più nulla. Peccato, perché complessivamente fu un’esperienza ricca di stimoli e di riflessioni.
Non dimentico che negli ultimi giorni della seconda settimana di degenza, quella trascorsa all’ospedale nuovo di Imola, medici e infermieri comparvero mascherati: anche dalle nostre parti aveva fatto capolino il Covid.
Oggi, 25 Agosto 2023, ho ritrovato questo scritto del febbraio 2020 e la curiosità è rimasta intorno a quell’abbozzo di titoli lasciati privi di ulteriori spiegazioni. Ma della Signora Irene non posso tacere l’aria di mistero che inducevano le informazioni che lei stessa forniva sul suo luogo di provenienza con quel nome dalla desinenza toscaneggiante: Moraduccio.
E così ho cercato. Su Google si trova tutto. La cosa più bella è indubbiamente la cascata
Basta un clic e vi trovate in un posto meraviglioso. Non saranno le cascate del Niagara, ma un salto d’acqua di 30 metri non è cosa da poco. Mi viene una gran voglia di andare a vedere, anche perché sono al confine tra la provincia di Bologna e quella di Firenze e, guarda caso, proprio lì, sulla strada c’è una trattoria che si chiama proprio La Cascata e, ancora una volta sarà il pc o il cellulare ad offrirti l’anteprima dell’acquolina in bocca.
Come sempre io dovrò fare attenzione, perché prima di congedarmi dall’ospedali i medici a consulto fecero a gara nell’impartire prescrizioni e consigli: non oltrepassare i mille metri di quota – o anche milleduecento per qualcuno più largo di manica – e sulla carne il limite era dato dal colore: carni bianche e quindi, addio fiorentine e compagnia. Fortunatamente un medico più simpatico fece notare che ora ero guarito, perciò …
Mi fermo qui.

Molte sono state le occasioni per lanciarsi in qualche riflessione.
Non sono mancati, di certo, gli argomenti …
Alcune citazioni erano d’obbligo.
Ci si poteva dimenticare delle donne Ukraine? Quelle rimaste in patria in assenza di possibili mete alternative e quelle già lontane da casa, come le “badanti” che noi conosciamo bene per il ruolo che ricoprono nei confronti della nostra popolazione più anziana …
E delle ragazze iraniane? Che hanno pagato con la vita solo per aver azzardato di mostrare i capelli? E per aver manifestato la loro voglia di vivere? Che cosa vuol dire infatti il loro motto “DONNA VITA LIBERTA” se non unicamente diritto alla vita?
E delle ragazze afghane? Che per andare a scuola devono fingersi e tramutarsi in maschi?
E lasciatemi aggiungere le donne di Bukavu che ho nel cuore più di altre solo per averle viste all’opera per la sopravvivenza dei più piccoli, per la coltivazione dei campi, per l’alimentazione, per la vita e il futuro dei piccoli, dei ragazzi, dei giovani che quotidianamente caricano sulle loro spalle, per una vita minacciosa che le ha sottoposte a violenze tra le più atroci.
Potrei continuare a lungo, ma mi fermo qui.
Voglio solo allargare lo sguardo verso il passato. Un passato anche recente.
Sono stato a teatro qualche sera fa. Qui, a Castel San Pietro, al Jolly dove il mio amico Dario, attore, regista, imprenditore, operatore culturale di grande talento, propone da tempo un teatro gradevole e coraggioso.
Non era proprio l’8 marzo, l’odore della festa della donna era ancora vivo e il titolo dello spettacolo lo richiamava chiaramente: MIMOSE.
Al termine mi sono sentito spinto a comprare il testo. Ne farò omaggio alle mie nipoti, sperando che in casa loro quel prezioso libretto resti a disposizione anche dei maschi e che proprio ai maschi venga la curiosità di sfogliarlo e di lasciarsi trasportare nel tempo e nello spazio per conoscere alcune donne che hanno lasciato e ancora possono lasciare il segno.
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