Sarà perché la vita mi ha portato due o tre volte a frequentare per qualche giorno questo luogo di grande serenità e, di conseguenza, a non dimenticare la persona che lo ha fondato e ne tiene vivo il messaggio di giorno in giorno attraverso la Comunità, i libri, gli incontri, le collaborazioni giornalistiche, i media e soprattutto con la meditazione quotidiana offerta a chi lo chiede. Un appuntamento prezioso al quale non riesco ad essere sempre attento, ma l’altro ieri ho prestato prima attenzione, poi ho dovuto rileggere. La riflessione di Frate Stefano provocava più del solito e, contemporaneamente, rasserenava. Per questo l’affido a questa mia pagina ché non vada persa!
Vincenzo
16 marzo 2020
Mc 8,27-33 (Lezionario di Bose)
In quel tempo 27Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?».28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo»3.0E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini»
Leggiamo che Gesù lungo la via “interrogava i suoi discepoli” (cf. v. 27), in greco eperóta, “domandava”, un imperfetto indicativo. Questo significa che non chiese loro una volta per tutte, ma lungo tutto il cammino verso Cesarea di Filippo Gesù domandava ai suoi a riguardo di se stesso.
La strada, la via verso le terre al confine della fede, è il luogo della domanda sull’identità di Gesù. Potremmo dire:
tutta la via cristiana, la strada del discepolato, è accompagnata dalla domanda: “Chi è il Signore?” e dai nostri tentativi di risposta, come se questa domanda non fosse una domanda cui dare una risposta una volta per tutte, ma sia la domanda che guida il discepolo lungo la via dietro al Signore, la domanda che aiuta a tenere la strada.
Camminando dietro al Signore verso le terre al confine della fede noi non abbiamo in primo luogo delle risposte; abbiamo una domanda, articolata su due punti di vista: “La gente, chi dice che io sia?” (v. 27), “Ma voi, chi dite che io sia?” (v. 29). Il discepolo (“voi”) nel mondo (“la gente”) è definito dal suo Signore, però non attraverso delle affermazioni dogmatiche, ma attraverso la dinamica di una domanda.
Forse anche Gesù avrà avuto bisogno di essere accompagnato dalla domanda: “Chi sono io?”, ma certo noi la dobbiamo considerare dal nostro punto di vista: “Gesù, questo Gesù, chi è?”, e così ricollocarci continuamente nella nostra identità di discepoli.
Perché certamente anche noi dobbiamo porci continuamente la domanda essenziale per ogni uomo: “Chi sono io?”, la domanda che ci guida nella mai esaurita conoscenza di sé (“Conosci te stesso!”); ma allo stesso tempo, in quanto discepoli di Cristo, incorporati a lui nel battesimo, e quindi parte della sua stessa identità cristica, la domanda che ci riguarda è anche: “Ma voi, chi dite che io sia?”. E questa domanda sempre e sempre dobbiamo porcela: chi diciamo essere per noi il Signore? È la domanda che ci situa sulla via, alla sequela di lui, diretti verso le terre dell’incredulità.
Sull’esempio di Pietro, il discepolo che ci rappresenta, sappiamo come sia possibile dare una risposta puntuale, una risposta formalmente corretta, una risposta che dice esattamente quale sia l’identità di Gesù. Ma sappiamo che questa risposta può non significare un’espressione di fede sincera, e può situarci nel quadro della volontà propria piuttosto che nel quadro della volontà del Padre, che pure questa risposta ha ispirato.
Per questo la domanda deve essere sempre e sempre riformulata, perché la vita del discepolo sia sempre più conforme all’identità del suo Signore. “Tu sei il Cristo”: questa è la realtà di Gesù, ma questa realtà deve essere fatta propria dal discepolo, e deve divenire principio di identità per lo stesso discepolo.
E cosa significa essere discepoli di un Signore che è “il Cristo”?
Vediamo subito che Pietro, per quanto risponda con sapienza alla domanda di Gesù, non è pronto a viverne le conseguenze. Per questo lui, come noi, deve rispondere altre volte alla domanda di Gesù sulla sua identità. Perché, sinceramente parlando, noi non siamo pronti, e forse mai lo saremo del tutto, a sostenere che il Cristo, il Figlio dell’uomo, il mediatore di salvezza, debba “soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere” (v. 31).
Perché poi la nostra via dovrebbe essere la sua, e noi, sinceramente, attraverso la morte non vorremmo passare.
fratel Stefano
Monastero di Bose