Il risultato parve carino.
E fu così che andrà come con le ciliegie. Una tira l’altra.
Rappresentare la vegetazione, quella vegetazione così ordinata, così varia, da giardino botanico era stato un esercizio minuzioso, ma al tempo stesso piacevole, rilassante e mi aveva fatto acquisire il nomignolo di Nonnet, per via di quelle piante acquatiche a galla sul laghetto, immortalate, lì sì, dal genio di Monet.
Già, le ninfee.
Ma non c’era solo quello a motivare. C’era il ricordo struggente e affettuoso di Sara, quella ragazzina capace di mobilitare dall’eternità mamma e papà e la folla dei coinvolti nella magia dell’angelico spazio alle porte dell’abitato. Si può dire, senza tema di esagerare, la città. Tutta la città.
Così misi mano alla seconda “opera” della “maturità” artistica personale: l’accesso al “Giardino segreto”.
Il luogo ove chiunque, solo o in compagnia, può sostare.
Già, la sosta. Sempre più rara nelle nostre vite affaccendate. Rara. E perciò preziosa. Li ho visti qualche volta, altre volte li immagino, come ora, aggirarsi pensosi, o seduti a guardare il cielo, o abbracciati incuranti della mia presenza o fissi sulle pagine di un libro.
L’esperienza della sosta è molto personale. Io ne posso rammentare tre che sono caratteristiche di questa fase della mia vita: il dormiveglia prima del risveglio, alla messa della domenica e nei tratti più agevoli delle camminate solitarie e non solo.
Prima del risveglio mattutino quando la mente è riposata e sgombra compaiono spesso le soluzioni dei problemi. Raramente mi succede di approfittarne passando immediatamente all’azione che si rivela sempre decisiva. E scritta. Più spesso le immagini sfocano al passo con il fluire delle prime attività e vanno a depositarsi chissà dove per riaffiorare solo qualche volta, inconsciamente, sollecitate dall’urgenza della decisione.
Alla messa capita spesso di vagare spensierati, talora, ma non sempre, sollecitati dalle parole alte delle Scritture, altre volte all’inseguimento di immagini che trovano spazio e si diffondono favorite dall’atmosfera raccolta del rito. D’altra parte è la stessa Parola che descrive lo Spirito come un soffio di Vento che si fa sentire quando, come e dove vuole. E, a volte forse si riposa e lascia il posto alla folla dei nostri pensieri in libertà.
Paradossale? No. Anche il cammino diventa facilmente sosta. Quando non è sospinto dalla fretta e la mente si lascia invadere, libera, dagli stimoli che l’ambiente propone passo dopo passo che, inavvertitamente, complici gli automatismi dell’andatura, si fanno sfondo, avviando sull’onda di qualche ricordo, prima timidi, poi sempre più sicuri, sorprendenti catene di ragionamenti che non avrebbero mai avuto, altrove, l’ardire di affacciarsi.
Cogito. Ergo sum.