Caro Piergiorgio … e a questo punto anche caro Nando!
… che Angelo Panebianco abbia spesso le idee confuse e altrettanto spesso finisca per confonderle ai lettori più ingenui e fiduciosi di una nobile testata non è una novità. Il tema è certamente complesso, ma alcune linee di sviluppo per me sono molto chiare e mi piacerebbe di farne parte in un confronto ravvicinato. Concordo sul fatto che i partiti della prima e della seconda repubblica abbiano molto, ma molto da rimproverarsi. Non faccio l’elenco. Lo conosciamo. E allora, provo ad andare con ordine.
Punto uno. Sono del parere dell’articolo uno della Costituzione: l’Italia è una Repubblica democratica … Democratica è il primo aggettivo, la prima qualità che le viene attribuita. Prima ancora di enunciare il suo fondamento: il lavoro. Poi continua l’enunciazione dei valori, l’uguaglianza, la pace, la solidarietà, la libertà con le sue sfaccettature, l’istruzione, la giustizia uguale per tutti e la giustizia sociale come obiettivo, la salute, l’ambiente … si potrebbe continuare, ma credo che ci siamo capiti.
Ebbene, questi grandi valori – a cominciare dal primo, la democrazia – si attuano se si tramutano quotidianamente in doveri per tutti e vanno sviluppati senza indugi e senza mistificazioni, mettendo al bando certe parole e certe tentazioni che vanno dal qualunquismo al populismo, tutte tese ad individuare il salvatore della patria. La patria si salva salvaguardando in primis la democrazia. Essa, se proprio vogliamo usare la metafora di Panebianco, ha come sherpa la politica che è – nella sua accezione più limpida – il prendersi cura della polis e, nella più stimolante visione evangelica, ” la più alta forma di carità” come ebbe a dire Paolo VI.
Punto due. Se così è, la politica non è un optional e non può essere lasciata alla pura e semplice iniziativa volontaria di alcuni appassionati in grado di mettere a disposizione le risorse necessarie, riducendo i partiti a comitati elettorali. Con questo si finirebbe per deresponsabilizzare ancora di più i cittadini nei confronti del dibattito politico di cui resterebbero sempre più distratti spettatori durante i talk show televisivi. Certo che a molti leader – soprattutto quelli in grado di avere accesso all’informazione – piacerebbe parecchio. Da una parte coloro che hanno forti interessi per tenere il volante e guidare le scelte verso il soddisfacimento di un bene particolare, guidato sempre più dagli imperativi dell’economia e – l’abbiamo imparato da qualche anno – della finanza. Dall’altra i semplici elettori nelle mani dei media appagati da dibattiti durante i quali il giudizio è decisamente inquinato dalla conduzione, dallo stile, dalle domande, dagli applausi, in un’arena adatta più all’esibizione che al ragionamento. È così che la politica diventa tifo da stadio. I partiti hanno un altro compito oltre a quello della campagna elettorale. Quello di alimentare e organizzare la partecipazione di quanto più popolo è possibile intorno ai problemi del Paese, dei piccoli e grandi territori, tenendo aperto il confronto fra tutti i portatori di interesse, attraverso tutti i canali della comunicazione. Mi sembra così chiaro che per far questo occorrano risorse molto serie. Chi le esclude a priori vuole parlare solo lui e far tacere tutti gli altri. L’abbiamo già visto e vorremmo liberarci da questa tentazione. Insomma se la politica è un valore come il lavoro, come la scuola, come la salute, va finanziato pubblicamente. Se ne devono, cioè, far carico tutti i cittadini, secondo la personale capacità contributiva.
Punto tre. Servono regole severe perché i partiti e le persone che ne interpretano idee e progetti non deraglino dal perseguimento del bene comune e dal corretto uso delle risorse disponibili. Bisogna cioè dare urgentemente attuazione all’articolo 49 della Costituzione attraverso una legge che valga per tutti i partiti e stabilisca una volta per tutte finalità, entità e forme di gestione delle risorse. Sul particolare settore della gestione bisognerà individuare con precisione le responsabilità oggettive, affinché non succedano più questi giochi a rimpiattino e scaricabarile conditi da subitanee individuazioni di capri espiatori.
In particolare, sulla situazione creatasi in più d’un partito e sull’entità dei cosiddetti rimborsi elettorali, sono del parere che già questi surplus vadano restituiti ai cittadini, a quegli stessi cittadini che stanno dando il sangue e guardano con disprezzo quelle categorie tanto ingiustamente salvaguardate. Non solo i politici.
Punto quattro. La legge sui partiti dovrà poi entrare nel merito della democrazia interna, ma questo è un discorso che mi porterebbe lontano, per cui, per oggi, basta così.
Vincenzo Zacchiroli
P.S. E comunque sul tema è intervenuto anche Carlo Galli su Repubblica di oggi con molta maggiore lucidità.
carretto di soldiMi ha stimolato l’amico Piergiorgio con una mail. Veniva dalla lettura di un commento di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera.
Il tema è certamente complesso e Panebianco mostra di avere un’idea a dir poco riduttiva dell’attività politica. Invece alcune linee di sviluppo per me sono molto chiare e mi piacerebbe di farne parte in un confronto ravvicinato. Concordo sul fatto che i partiti della prima e della seconda repubblica abbiano molto, ma molto da rimproverarsi. Ed emergono di giorno in giorno situazioni nauseanti. Non faccio l’elenco. Lo conosciamo. E allora, provo ad andare con ordine.
Punto uno. Sono del parere dell’articolo uno della Costituzione: l’Italia è una Repubblica democratica … Democratica è il primo aggettivo, la prima qualità che le viene attribuita. Prima ancora di enunciare il suo fondamento: il lavoro.
Proseguendo, continua l’enunciazione dei valori, l’uguaglianza, la pace, la solidarietà, la libertà con le sue sfaccettature, l’istruzione, la giustizia uguale per tutti e la giustizia sociale come obiettivo, la salute, l’ambiente … si potrebbe continuare, ma credo che ci siamo capiti.
Ebbene, questi grandi valori – a cominciare dal primo, la democrazia – si attuano se si tramutano quotidianamente in doveri per tutti e vanno sviluppati senza indugi e senza mistificazioni, mettendo al bando certe parole e certe tentazioni che vanno dal qualunquismo al populismo, tutte tese ad individuare il salvatore della patria. La patria si salva salvaguardando in primis la democrazia.democrazia partecipativaEssa, se proprio vogliamo usare la metafora di Panebianco, ha come sherpa la politica che è – nella sua accezione più limpida – il prendersi cura della polis e, nella più stimolante visione evangelica, ” la più alta forma di carità” come ebbe a dire Paolo VI.
Punto due. Se così è, la politica non è un optional e non può essere lasciata alla pura e semplice iniziativa volontaria di alcuni appassionati in grado di mettere a disposizione le risorse necessarie, riducendo i partiti a comitati elettorali. Con questo si finirebbe per deresponsabilizzare ancora di più i cittadini nei confronti del dibattito politico di cui resterebbero sempre più distratti spettatori durante i talk show televisivi. Certo che a molti leader – soprattutto quelli in grado di avere libero accesso all’informazione – piacerebbe parecchio. Da una parte, quindi, coloro che hanno forti interessi per tenere il volante e guidare le scelte verso il soddisfacimento del loro bene particolare, guidato sempre più dagli imperativi dell’economia e – l’abbiamo imparato da qualche anno – della finanza. Dall’altra i semplici elettori, nelle mani dei media, appagati da dibattiti durante i quali il giudizio è decisamente inquinato dalla conduzione, dallo stile, dalle domande, dagli applausi, dall’arroganza, in un’arena adatta più all’esibizione che al ragionamento.
È così che la politica diventa tifo da stadio in una campagna elettorale senza fine. I partiti hanno un altro compito oltre a quello della campagna elettorale. Quello di alimentare e organizzare la partecipazione di quanto più popolo è possibile intorno ai problemi del Paese, dei piccoli e grandi territori, tenendo aperto il confronto fra tutti i portatori di interesse, attraverso tutti i canali della comunicazione. Mi sembra così chiaro che per far questo occorrano strutture, organizzazione e risorse molto serie. Chi le esclude a priori vuole parlare solo lui e far tacere tutti gli altri. L’abbiamo già visto e vorremmo liberarci per sempre da questa tentazione. Insomma se la politica è un valore come il lavoro, come la scuola, come la salute, va finanziato pubblicamente. Se ne devono, cioè, far carico tutti i cittadini, secondo la personale capacità contributiva.
Punto tre. Servono regole severe perché i partiti e le persone che ne interpretano idee e progetti non deraglino dal perseguimento del bene comune e dal corretto uso delle risorse disponibili. Bisogna cioè dare urgentemente attuazione all’articolo 49 della Costituzione attraverso una legge che valga per tutti i partiti e stabilisca una volta per tutte finalità, entità e forme di gestione delle risorse. Sul particolare settore della gestione bisognerà individuare con precisione le responsabilità oggettive, affinché non succedano più questi ridicoli giochi a rimpiattino e scaricabarile conditi da subitanee individuazioni di capri espiatori.
In particolare, sulla situazione creatasi in più d’un partito e sull’entità dei cosiddetti rimborsi elettorali, sono del parere che già questi surplus vadano restituiti ai cittadini, a quegli stessi cittadini che stanno dando il sangue e guardano con disprezzo quelle categorie tanto ingiustamente salvaguardate. Non solo i politici.
Punto quattro. La legge sui partiti dovrà poi entrare nel merito della democrazia interna, ma questo è un discorso che mi porterebbe lontano, per cui, per oggi, basta così.
P.S. E comunque sul tema è intervenuto anche Carlo Galli su Repubblica con argomenti assai più convincenti.

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