Sono molti i temi sui quali, in questi giorni a cavallo tra 2009 e 2010, verrebbe naturale soffermarsi. C’è solobambini l’imbarazzo della scelta, ma alcuni episodi, uno personale, gli altri pubblici mi hanno indotto a pensare e ripensare alla scuola.

Primo: ho sentito che, in previsione del suo rientro nel pieno dell’attività politica, il Presidente del Consiglio ha annunciato riforme e ha inserito inopinatamente la scuola. Mi si sono rizzati i capelli e mi sono chiesto se questa tortura non è ancora finita.

Secondo: proprio lei, la “torturatrice”, svela l’ultimo proposito, il numero chiuso di stranieri in ogni classe: guai a superare il 30%. Proprio lei che una classe vera, all’opera, non deve averla vista più da quando era studentessa. E come mio padre e mia madre quando mi mettevano in punizione, anche lei si giustifica: – ma è per il vostro bene, cari ragazzi! Anzi è l’ultimo grido in materia di integrazione – e, quel che è peggio, qualcuno ci crede pure!

Ma la “rete” è una grande risorsa e, tra una mail che ti arriva e una ricerca che fai tu, ho trovato che di scuola si occupano in tanti E così ho saputo che sabato scorso a Napoli la Fondazione Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo ha affrontato il problema e ieri a Montecitorio il Cardinale Camillo Ruini, con a fianco il Presidente della Camera Gianfranco Fini, ha presentato il rapporto-proposta del Comitato per il progetto culturale della CEI dal titolo ‘La sfida educativa’.

Una provocazione dopo l’altra.

Non sono riuscito a leggere tutto, cosa che mi propongo di fare, ma ho dato una scorsa alla presentazione del primo e alle frasi salienti dei relatori del secondo e mi chiedo se le analisi catastrofiche che leggo nei due rapporti, per non dire della visione del Ministro Mariastella Gelmini, hanno qualche fondamento e la capacità di oltrepassare il livello della presa d’atto, mi perdonino, piuttosto scontata, di una condizione indubbiamente difficile dell’educazione e degli educatori.

Non basta mica, Eminenza, manifestare ottimismo ed esortare a “muoversi con urgenza e con un po’ di anticipatrice follia”. Non basta mica, Presidente Montezemolo, evocare romanticamente la figura del maestro, trasformare le scuole in biblioteche, restituire autorità ai docenti attraverso il voto numerico e rimbalzare la responsabilità educativa sulla famiglia.

Quattro spunti interessanti.  Ma quello che mi comunica più novità e più futuro è il quinto: quella dozzina di ex alunni per niente “bamboccioni” della 5a B del 1983 a San Lazzaro di Savena che si sono ritrovati su Facebook, mi hanno rintracciato sullo stesso social network e hanno organizzato una rentrée con i loro insegnanti a ventisei anni di distanza. Non sono certo gli unici, ma prima, durante e dopo questa esperienza, affettivamente intensissima, mi sono sorti interrogativi e qualche riflessione.

Il primo interrogativo – posto ai ragazzi e alle ragazze – quanti di voi hanno il posto fisso di lavoro? – mi dà una risposta in parte incoraggiante. A parte uno in cerca del lavoro perso per la crisi, un imprenditore, tre a tempo determinato, gli altri sono a posto, si spera, per la vita. Ma subito, proprio questi ultimi precisano: – sì, ma siamo gli ultimi!

E allora, cosa dire al Presidente del Consiglio a proposito di riforma della scuola? Per favore non dimentichi il lavoro e non dimentichi di tenere insieme queste due cose della vita! Sennò chissà quale altra “cavolata” sparerà il ministro Brunetta al quale risponde in diretta Domenico Masi, titolare di Sociologia del lavoro alla Sapienza, in un’intervista a Repubblica ”Sfatare le false leggende come quelle che i giovani non vogliono essere indipendenti. Non e’ vero. Vorrebbero esserlo e lo dimostrano cercando attivita’ di tutti i tipi, dall’operatore ai call center al camerioere, con tanto di laurea. E’ il lavoro che non c’e’. E senza, non c’e’ nemmeno l’autonomia”. Cosi’, invita – uno che se ne intende – a tornare con i piedi per terra sulla questione dei ”bamboccioni”. E parlando della 32enne fuori corso e della sentenza che obbliga i genitori a continuare a mantenerla, sottolinea: ”Sui 100 giovani che si laureano, non piu’ di 80 sono in corso. E’ una vergogna italiana”, ma, avverte, ”il punto e’ che non e’ detto che se si fosse laureata avrebbe trovato un lavoro. Ho studenti bravissimi, laureati con 110 e lode che non trovano un’occupazione”.

Ma torniamo alla scuola e ai “Rapporti”.

Se davvero, come si dice, si volesse riformare, bisognerebbe cambiare ministro. E dopo averlo cambiato studiare con rispetto la storia della scuola italiana e non solo. Anche di quella europea.

Perché bisogna procedere correttamente, senza supponenza e senza pensare di essere i primi e unici ad occuparsene, in una sorta di funesto spoil system culturale facendo tabula rasa di tutto. Un buon metodo potrebbe essere proprio quello tipico di alcuni movimenti cattolici sintetizzato in tre verbi: vedere, giudicare, agire che tradotto laicamente potrebbe essere l’umile sequenza “analizzare la situazione, riflettere sui dati e progettare”.

Bene. Un’analisi seria non può fare a meno di riandare, visto che si parla di scuola, culturalmente alle fonti delle grandi riforme della seconda metà del novecento. Non voglio nemmeno accennare alle esperienze che subito qualcuno definirebbe “comuniste” della scuola di Barbiana o di Mario Lodi, ma mi sembra che non si possano liquidare senza darne giustificazione documenti “multilaterali” come il Rapporto Faure – Unesco del 1972 (“Learning to be”) e il Rapporto Delors – Unesco del 1999 (Rapporto all’Unesco redatto dalla Commissione internazionale sull’educazione per il XXI secolo, presieduta allora da Jacques Delors: “L’importanza del ruolo dell’insegnante in quanto promotore del cambiamento, della comprensione e della tolleranza reciproca, non è mai stata così evidente come oggi. E probabilmente è destinata a diventare anche più fondamentale nel ventunesimo secolo. La necessità di cambiare, di passare da forme grette di nazionalismo all’universalismo, dal pregiudizio etnico e culturale alla tolleranza, alla comprensione e al pluralismo, dalla autocrazia alla democrazia nelle sue varie manifestazioni, e da un mondo tecnologicamente diviso dove l’alta tecnologia è privilegio di pochi a un mondo tecnologicamente unito, assegna enormi responsabilità agli insegnanti, che contribuiscono a forgiare i caratteri e gli spiriti delle nuove generazioni” .

Ma questa nota sta diventando troppo lunga. Mi ripropongo di tornarci sopra fra qualche giorno, ma alla signora Ministro, futura mamma e quindi presto educatrice in prima persona, vorrei ricordare che le scuole godono da oltre un decennio di una salutare condizione di autonomia che per i pochi fondi a disposizione possono esercitare più virtualmente che concretamente. E, allora, in tema di formazione delle classi con gli immigrati, si limiti a fare quello che va fatto a livello centrale, a dare indicazioni generali, di principio. Proprio lei che è portatrice, come appartenente alla lega, di una cultura federalista, provi almeno a pensare che vi sono situazioni diversificate nel Paese!

E vorrei infine ricordare che la scuola ha vissuto altre esperienze simili e ha saputo, dal suo interno affrontare e superare ostacoli ben più ardui, ponendosi all’avanguardia in Europa e nel mondo: l’inserimento di quegli alunni e studenti che ora definiamo diversamente abili e che allora si chiamavano anormali fisici o psichici, dalle classi speciali nelle classi comuni. È un esempio che parla da sé, senza scomodare l’esperienza dei primi tentativi di integrazione dei migranti che è proprio avvenuta nelle scuole. Con le comunità locali che non si sono mai tirate indietro, se c’era da dare una mano.

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