Nonostante tutto, la consapevolezza che viviamo un tempo in cui il cambiamento si percepisce più che mai, si fa strada nei discorsi della gente comune, per quanto si cerchi di continuare a vivere la vita di tutti i giorni come se non fosse vero.

Non è una novità. Basta fare mente locale.  Chi ha una vita alle spalle come la mia, oltre settantasette anni, se si lascia cullare dall’onda dei ricordi, dall’infanzia in avanti, vede, passo dopo passo, scorrere cambiamenti in tutti i campi. Ciò che, però, colpisce, è la rapidità con cui, novità dopo novità, sono avvenuti. E continuano ad avvenire.

Lo diceva una canzone conosciutissima nella versione di Mercedes Sosa (argentina) scritta da un cantante cileno (Julio Numhauser) nel 1982, ovvero in piena dittatura cilena ad opera di Pinochet (che aveva preso il potere nell’altro famoso 11 settembre, quello del 1973).

Il bisogno di cambiamento, spesso di superamento di una situazione locale e temporale insoddisfacente, è insito nell’essere umano e, nello stesso tempo, la tendenza a sperare che nulla cambi, in genere da parte di chi “sta tanto bene così”.

La storia è piena di esempi di ambedue le tendenze, la prima delle quali si fa strada spesso lentamente, introducendo il cambiamento quasi senza farsene accorgere, altre volte attraverso rivolgimenti repentini, sorprendenti, talora cruenti, mentre la seconda si manifesta con la critica al nuovo in tutte le sue forme e, anch’essa, talora, con la repressione violenta.

Il finto cambiamento, sì, c’è anche quello … cambiare perché nulla cambi e tutto resti come prima. Il Gattopardismo ė sempre dietro l’angolo.

Credo che sia la tecnologia l’elemento più appariscente tra i cambiamenti succedutisi nella seconda parte del ventesimo e in questi primi due decenni del ventunesimo secolo. Si cerca di far mente locale su come l’incessante affiorare di nuove opportunità abbia inciso nella nostra vita personale e ci si perde subito nell’affacciarsi e nell’accumularsi delle immagini di questo interminabile film. Non c’era la radio in casa mia quando ero bambino e non c’era il telefono.

Oggi un click sul telecomando e possiamo scegliere su centinaia di prodotti di intrattenimento e d’informazione, un click o un touch direttamente sul cellulare e ci colleghiamo seduta stante con il resto del mondo. Modestissimi esempi, questi ultimi, di ciò che, tante volte senza che noi ce ne accorgessimo, si è svolto comunque sotto i nostri occhi. Nei campi più diversi. E non mi sogno lontanamente di esaurirne in queste poche righe il panorama.

La scuola, sia pure a passo di lumaca, ha modificato la sua organizzazione, i programmi, la metodologia, la didattica. Vorrei ricordare alcuni promotori del cambiamento in favore dell’incontro con le esigenze sociali e culturali del momento storico attraversato. Don Lorenzo Milani è la prima figura che mi appare, con la sua Lettera a una professoressa nella quale presenta la sua scuola a tempo pieno di Barbiana, nota nel mondo, ma ci sono altri riformatori conosciuti più che altro tra gli addetti ai lavori. Gli sperimentatori in ambito didattico, da Célestin Freinet con la tipografia a scuola a Mario Lodi  e al movimento di Cooperazione Educativa, a Jean Piaget, a Zoltan Dienes e all’intero movimento promotore della cosiddetta matematica moderna, tendente anche nella scuola primaria, a superare l’impostazione del solo far di conto e ancora l’impostazione della didattica nel progetto La scuola come Centro di Ricerca avviato da Alfredo Giunti e dall’intera équipe della rivista Scuola Italiana ModernaNel frattempo l’evoluzione normativa giungeva all’introduzione della scuola media unica obbligatoria per tutti, all’abolizione delle classi speciali per anormali psichici, all’istituzione delle classi a tempo pieno nella scuola dell’obbligo e degli Organi Collegiali della Scuola. E anche qui ci sarebbe molto altro da aggiungere.

Le tecniche nei vari campi di lavoro si sono evolute rendendo necessaria la formazione continua costantemente aggiornata dei lavoratori ai vari livelli di competenza.

La società ha dovuto ristrutturarsi in relazione agli stessi cambiamenti, l’ultimo dei quali, l’allungamento della speranza di vita. Ciò ha portato, nel nostro Paese, all’ampliamento dei servizi assistenziali e sanitari con l’afflusso di persone disponibili allo svolgimento di compiti scarsamente appetiti da parte degli italiani.

Quale lingua materna? eh, sì. Tutte le lingue sono in perenne evoluzione. Non è una novità. Già nell’immediato dopoguerra, terminata la fase “autarchica”, si ritorna ad apprezzare la lingua straniera in senso non solo utilitaristico, ma anche culturale, talché, una famiglia umile e modesta come la mia, non appena la scuola elementare offre a chi scrive, in terza elementare, la frequenza di un corso facoltativo di francese, non hanno incertezze nel farglielo frequentare. Per molto tempo l’organizzazione scolastica continua a propinare nell’ordine francese, tedesco, inglese e spagnolo. Oggi le opportunità sono ormai altre, fino alla frequenza di anni scolastici all’estero e all’utilizzo del grande progetto Erasmus siglato in piazza Maggiore a Bologna.

Questi ambiti non sono certo i soli degni essere citati a proposito di cambiamento, ma sono i primi che mi sono venuti in mente. Ne ho in mente altri, ma sarà per un’altra volta.

Sto pensando che Obama ne aveva fatto il suo motto già nella campagna per il suo primo mandato. Chi non ricorda il suo “WE CHANGE”?  E così la politica in tutti i paesi si propone continuamente come cambiamento. Ovviamente in meglio, ma è sempre più arduo crederci.

E mentre chiudo sento che non posso dimenticare l’ambiente, la letteratura, le canzoni, l’arte, l’Europa, la politica …

Metto il punto, perché non si finirebbe più …

 

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