Ci siamo cacciati in un bel pasticcio
Non aver capito di aver perso le elezioni è stato il primo errore.
Tutti ricordiamo la prima frase di Bersani: “Non abbiamo vinto, anche se siamo arrivati primi”.
La prima parte è il minimo che si potesse dire,”Non abbiamo vinto”. Dietro ci vedo la consapevole disperazione di chi fino al giorno prima era sicuro di vincere.
La seconda “anche se siamo arrivati primi” è una diabolica traccia utile a non perdere il sonno.
Un atteggiamento più lucido avrebbe forse favorito analisi meno consolatorie, adatte ad un elettorato non più bambino.
Le primarie sprecate
Prima consolazione e prima mistificazione dell’establishment:
Bersani ha voluto le primarie e le ha vinte. In realtà Bersani poteva non volerle. Lo statuto glielo consentiva. Ma il suo merito fu di raccogliere il guanto lanciato da Renzi. Forse va ricordato che le primarie erano “di coalizione” e non era prevista la partecipazione di altri candidati del PD senza una sospensione di un articolo dello statuto che prevedeva la partecipazione del solo Segretario. Senza la provocazione di Renzi le primarie sarebbero state solo tra Bersani, Tabacci e Vendola. Con Renzi sono state per la prima volta primarie contendibili.
Subito dopo le primarie, la classe dirigente del PD praticamente tutta bersaniana, ripresasi dallo sconforto del risultato vincente ma troppo poco convincente, deve aver pensato che quel 60% di preferenza per il Segretario fosse una base sufficiente per trasformare la vittoria alle primarie in una vittoria alle elezioni politiche. Forse adesso, almeno adesso, bisognerà capire che con il solo elettorato DOC non si vincerà mai più e anche dove per tradizione si era abituati a prevalere, un po’ alla volta il consenso tende da parecchio tempo ad assottigliarsi.
Non aver capito che l’atteggiamento di chiusura dei gruppi dirigenti ha contribuito sì alla vittoria di Bersani alle primarie, ma ha ristretto il campo degli elettori, depurandolo da ulteriori apporti che avrebbero forse dato a Bersani una vittoria ancor più risicata, ma avrebbero lanciato verso l’esterno un messaggio di reale apertura del PD, di un PD davvero nuovo al quale si poteva dare credito magari per la prima volta. Insomma, l’atteggiamento giusto – ma giusto perché consapevole – doveva essere una reale apertura, a porte spalancate, senza tanti passaporti e visti d’ingresso … Non è stato così.
Questa mattina ho finito di compilare il questionario che il PD propina agli iscritti… Le stesse domande mettono in luce alcuni errori madornali di prospettiva … Ci si rifiuta di approfondire realmente. E soprattutto non mi è chiaro lo scopo. Si vuol far dire agli iscritti che le primarie è meglio non farle più?
Un solo esempio: si chiede se durante le primarie il gruppo dirigente del PD è stato positivamente collaborativo oppure no. Se rispondo no, come ho fatto, nessuna domanda va a sondare realmente le ragioni di un giudizio così perentorio. Altre due domande e le relative risposte, nel mio caso la precedente appartenenza alla Margherita e la scelta per Renzi, messe in relazione con la precedente portano a identificarmi esattamente come non sono. Mi disegnano come un ex margheritino che finalmente ha trovato un ex margheritino come lui da votare e … per forza ha trovato poca collaborazione nel gruppo dirigente … Sfido! Cosa volevi ancora?
Il PD è mio e lo gestisco io … Un partito siffatto nel quale ancora si chiede se uno viene dai DS o dalla Margherita è un PD mai nato.
Con questo atteggiamento caleranno progressivamente i consensi ogni volta di più, fino all’esaurimento totale.
Il risultato elettorale
E’ inoppugnabile. Non dà la maggioranza a nessuno, mentre per governare soprattutto in un momento come questo serve una maggioranza sicura e consistente.
Voglio essere buono, oltre che coerente, spero che Bersani raggiunga l’obiettivo, ma sono e resto pessimista.
Auguro a Bersani di riuscire nel suo tentativo di trovare per strada la fiducia. Il tentativo andava fatto, per quanto disperato. Speriamo che non si risolva in una pura e semplice perdita di tempo.
Oltre certi limiti non è nemmeno dignitoso inseguire l’avversario politico, chiedendogli per favore di acconsentire, magari solo uscendo dall’aula, alla nascita del governo. Non posso stare dalla parte di un governo accattone. Anche perché sappiamo benissimo con chi abbiamo a che fare. Il do ut des non è una novità e le proposte abbondano già. Il Quirinale come moneta di scambio?
Auguro a noi tutti e al nostro Paese di trovare, con Bersani o senza Bersani, nonostante una situazione politicamente drammatica, un governo di persone che sappiano mettere al di sopra del proprio interesse personale l’interesse vero dell’Italia, un governo alla cui formazione concorrano tutti, indistintamente, i partiti in un soprassalto di dignità nazionale, abbandonando gli interessi di partito in favore dell’interesse supremo.
Non vorrei mai usare parole troppo forti, ma in questo caso mi auto assolvo, perché i nemici sono nemici di tutti noi.
Come quando si va in guerra. Dobbiamo combattere la guerra contro la chiusura e la delocalizzazione delle aziende, la guerra contro la disoccupazione, il disorientamento, la disperazione di ragazze e ragazzi, di donne e di uomini, di famiglie intere, di imprenditori piccoli e grandi, di anziani la cui pensione in progressiva svalutazione si trasforma in welfare per il circuito familiare, mentre sfuma quello che era il significato originario: la sicurezza di una vecchiaia almeno dignitosa. A tutti costoro ora per ora sta venendo meno persino la speranza.
Insomma non vorrei, come tanti, che si tornasse dagli elettori a mani vuote dopo qualche mese, con la stessa legge elettorale …
Ho un piccolo sogno
Mi piacerebbe che Napolitano convocasse tutti i partiti insieme, li mettesse davanti alle loro responsabilità e formasse un governo suo, di salvezza nazionale, con pochissimi punti, la legge elettorale, sperando che un Parlamento nuovo non la blocchi come il predecessore. E accanto a questo percorso alcuni provvedimenti urgenti riguardanti il lavoro e le tasse. Ci sarebbe altro, molto altro, ma bisognava vincere.
Invece abbiamo perso
Come mai succede che si perde consenso?
Ci sono donne e uomini che hanno perso il gusto di fare politica non per essere stati minoranza, ma per essere stati tenuti subdolamente lontani, perché non proprio in linea su tutto … non possono avere trasmesso appeal verso il partito.
Giovani che hanno respirato il cattivo odore dell’obbedienza, di un’obbedienza che non è più una virtù nemmeno per i militari almeno da quando ne dibatté, con grande scandalo per le gerarchie, quel grande prete che risponde al nome di don Lorenzo Milani. Questi giovani anche se sono entrati e hanno dato un’occhiata, hanno girato precipitosamente i tacchi. Dobbiamo esserne certi. Lo dicono i risultati elettorali.
Sono solo due elementi che richiamano un problema enorme, quello della democrazia interna.
Potrei dare molti esempi vicini a noi, ma non mi va e sarebbe una lunga narrazione.
Ne prendo uno che hanno visto tutti. In streaming.
Ho assistito in diretta alla seduta della direzione nazionale del PD di lunedì sera.
Pensavo a un momento di alta democrazia. Era l’occasione per far vedere a tutti gli appassionati e ai curiosi l’alta qualità della democrazia interna del PD. Invece … Introduce Enrico Letta dettando come da prassi la linea interpretativa. Ci si aspetta che si apra almeno la discussione e una mano si alza. Quella della onorevole Franco che chiede di esprimersi sul prosieguo del percorso che deve portare al governo. Rosy Bindi la chiama per l’intervento e intanto alza la mano Zanonato. Al termine dell’intervento della Franco il colpo di scena: alza la mano Marini che presenta una mozione d’ordine … Non è il momento … Zanonato? Chissà…
Una mozione d’ordine per non discutere. Continuo ad essere convinto che gli incapaci di garantire la democrazia interna devono essere i primi a cedere il posto.

Ci siamo cacciati in un bel pasticciocaos2

Non aver capito di aver perso le elezioni è stato il primo errore.

Tutti ricordiamo la prima frase di Bersani: “Non abbiamo vinto, anche se siamo arrivati primi”.

La prima parte è il minimo che si potesse dire,”Non abbiamo vinto”. Dietro ci vedo la consapevole disperazione di chi fino al giorno prima era sicuro di vincere.

La seconda “anche se siamo arrivati primi” è una diabolica traccia utile a non perdere il sonno.

Un atteggiamento più lucido avrebbe forse favorito analisi meno consolatorie, adatte ad un elettorato non più bambino.

Le primarie sprecate

Prima consolazione e prima mistificazione dell’establishment: Bersani ha voluto le primarie e le ha vinte. In realtà Bersani poteva non volerle. Lo statuto glielo consentiva. Ma il suo merito fu di raccogliere il guanto lanciato da Renzi. Forse va ricordato che le primarie erano “di coalizione” e non era prevista la partecipazione di altri candidati del PD senza una sospensione di un articolo dello statuto che prevedeva la partecipazione del solo Segretario. Senza la provocazione di Renzi le primarie sarebbero state solo tra Bersani, Tabacci e Vendola. Con Renzi sono state per la prima volta primarie contendibili.

Subito dopo le primarie, la classe dirigente del PD, praticamente tutta bersaniana, ripresasi dallo sconforto del risultato vincente ma troppo poco convincente, deve aver pensato che quel 60% di preferenza per il Segretario fosse una base sufficiente per trasformare la vittoria alle primarie in una vittoria alle elezioni politiche. Forse adesso, almeno adesso, bisognerà capire che con il solo elettorato DOC non si vincerà mai più e anche dove, per tradizione si era abituati a prevalere, un po’ alla volta il consenso tende da parecchio tempo ad assottigliarsi.

Non aver capito che l’atteggiamento di chiusura dei gruppi dirigenti ha contribuito sì alla vittoria di Bersani alle primarie, ma ha ristretto il campo degli elettori, depurandolo da ulteriori possibili apporti che al secondo turno avrebbero forse dato a Bersani una vittoria meno netta,  ma lanciato verso l’esterno un messaggio di reale apertura del PD.  Si sarebbe presentato un PD davvero nuovo al quale si poteva dare credito magari per la prima volta. Insomma, l’atteggiamento giusto – ma giusto perché consapevole – doveva essere una reale apertura, a porte spalancate, senza tanti passaporti e visti d’ingresso … Non è stato così.

Questa mattina ho finito di compilare il questionario che il PD propina agli iscritti… Le stesse domande mettono in luce alcuni errori madornali di prospettiva … Ci si rifiuta di approfondire realmente. E soprattutto non mi è chiaro lo scopo. Si vuol far dire agli iscritti che le primarie è meglio non farle più?

Un solo esempio: si chiede se durante le primarie il gruppo dirigente del PD è stato positivamente collaborativo oppure no. Se rispondo no, come ho fatto, nessuna domanda va a sondare realmente le ragioni di un giudizio così perentorio. Altre due domande e le relative risposte, nel mio caso la precedente appartenenza alla Margherita e la scelta per Renzi, messe in relazione con la precedente, portano a identificarmi esattamente come non sono. Mi disegnano come un ex margheritino che finalmente ha trovato un ex margheritino come lui da votare e … per forza ha trovato poca collaborazione nel gruppo dirigente … Sfido! Cosa voleva ancora?

Insomma, il PD è mio e lo gestisco io … Un partito siffatto nel quale ancora si differenzia se uno viene dai DS o dalla Margherita è un PD mai nato.

Con questo atteggiamento caleranno progressivamente i consensi ogni volta di più, fino all’esaurimento totale.

Il risultato elettorale

E’ inoppugnabile. Non dà la maggioranza a nessuno, mentre per governare soprattutto in un momento come questo serve una maggioranza sicura e consistente.

Voglio essere  coerente, spero che Bersani raggiunga l’obiettivo, ma sono e resto pessimista.

Auguro a Bersani di riuscire nel suo tentativo di trovare per strada la fiducia. Il tentativo andava fatto, per quanto disperato. Speriamo che non si risolva in una pura e semplice perdita di tempo.

Oltre certi limiti non è nemmeno dignitoso inseguire l’avversario politico, chiedendogli per favore di acconsentire, magari solo uscendo dall’aula, alla nascita del governo. Non posso stare dalla parte di un governo accattone. Anche perché sappiamo benissimo con chi abbiamo a che fare. Il do ut des non è una novità e le proposte abbondano già. Il Quirinale come moneta di scambio?

Auguro a noi tutti e al nostro Paese di trovare, con Bersani o senza Bersani, nonostante una situazione politicamente drammatica, un governo di persone che sappiano mettere al di sopra del proprio interesse personale l’interesse vero dell’Italia, un governo alla cui formazione concorrano tutti, indistintamente, i partiti in un soprassalto di dignità nazionale, abbandonando gli interessi di partito in favore dell’interesse supremo.

Non vorrei mai usare parole troppo forti, ma in questo caso mi autoassolvo dall’averle pensate e poi usate, perché i nemici sono terribili e schierati contro noi tutti.

Come quando si va in guerra

Dobbiamo combattere la guerra contro la chiusura e la delocalizzazione delle aziende, la guerra contro la disoccupazione, il disorientamento, la disperazione di ragazze e ragazzi, di donne e di uomini, di famiglie intere, di imprenditori piccoli e grandi, di anziani la cui pensione in progressiva svalutazione si trasforma in welfare per il circuito familiare, mentre sfuma quello che era il significato originario: la sicurezza di una vecchiaia almeno dignitosa. A tutti costoro ora per ora sta venendo meno persino la speranza.

Insomma non vorrei, come tanti, che si tornasse dagli elettori a mani vuote dopo qualche mese, con la stessa legge elettorale.

Ho un piccolo sogno

Mi piacerebbe che Napolitano convocasse tutti i partiti insieme, li mettesse davanti alle loro responsabilità e formasse un governo suo, di salvezza nazionale, con pochissimi punti, la legge elettorale, sperando che un Parlamento nuovo non la blocchi come il predecessore. E accanto a questo percorso alcuni provvedimenti urgenti riguardanti il lavoro e le tasse. Ci sarebbe altro, molto altro, ma bisognava vincere.

Invece abbiamo perso

Come mai succede che si perde consenso?

Ci sono donne e uomini che hanno perso il gusto di fare politica non per essere stati minoranza, ma per essere stati tenuti subdolamente lontani, perché non proprio in linea su tutto … Sarà difficile che questi possano avere trasmesso appeal verso il partito.

Giovani che hanno respirato il cattivo odore dell’obbedienza, di un’obbedienza che non è più una virtù nemmeno per i militari almeno da quando ne dibatté, con grande scandalo per le gerarchie, quel grande prete che risponde al nome di don Lorenzo Milani. Questi giovani anche se sono entrati e hanno dato un’occhiata, hanno girato precipitosamente i tacchi. Dobbiamo esserne certi. Lo dicono i risultati elettorali.

Sono solo due elementi che richiamano un problema enorme, quello della democrazia interna.

Potrei dare molti esempi vicini a noi, ma non mi va e sarebbe una lunga narrazione.

Ne prendo uno che hanno visto tutti. In streaming.

Ho assistito in diretta alla seduta della direzione nazionale del PD di lunedì sera.

Pensavo a un momento di alta democrazia. Era l’occasione per far vedere a tutti gli appassionati e ai curiosi l’alta qualità della democrazia interna del PD. Invece … Introduce Enrico Letta, dettando come da prassi la linea interpretativa. Ci si aspetta che si apra almeno la discussione e una mano si alza. Quella della onorevole Franco che chiede di esprimersi sul prosieguo del percorso che deve portare al governo. Rosy Bindi la chiama per l’intervento e intanto alza la mano Zanonato. Al termine dell’intervento della Franco il colpo di scena: alza la mano Marini che presenta una mozione d’ordine … Non è il momento … Zanonato? Chissà…

Una mozione d’ordine per non discutere.

Continuo ad essere convinto che gli incapaci di garantire una decente democrazia interna devono essere i primi a cedere il posto.

Comments are closed.