Dalle primarie alle elezioni
Tra certezze, illusioni, mistificazioni e speranze
Non è più presto, ma sto cercando di riordinare le idee dopo la bufera delle primarie del 25 novembre, del 2 e del 30 dicembre e prima delle elezioni di fine febbraio.
Tutti, prima favorevoli o prima contrari, si sono sperticati ad affermare che ormai le primarie sono irrinunciabili e fanno parte del DNA del PD. Soprattutto i contrari, ribadendo stucchevolmente che – però – sono solo uno strumento. Bella scoperta! Ma come fanno a ripetere questa litania senza accorgersi della sua banalità? Ora, piaccia o non, dopo queste primarie il PD non è più quello di prima. Ha scoperto di avere un elettorato non più “ciecamente obbediente”, un elettorato che non si scandalizza se i suoi leader hanno idee diverse e si mettono in discussione apertamente, un elettorato a cui piace di poter scegliere, un elettorato per niente stanco di essere coinvolto quando c’è da decidere. Un elettorato a cui piace proprio decidere.
Insomma, un elettorato da “considerare”.
Dico questo perché sarebbe ora di chiudere la questione se sono più importanti gli elettori o gli iscritti, se il partito deve essere solido o liquido, se la “rete” è importante o contrasta il “radicamento”.
Spero che si sia capita l’importanza degli elettori anche quando le scelte si svolgono all’interno del partito. Fortunatamente non esiste un confine netto fra queste due categorie. Intanto perché gli iscritti sono anche – contemporaneamente – elettori. Sappiamo pure che da un anno all’altro gli iscritti cambiano. C’è chi va e c’è chi viene. Tra gli elettori, anche tra loro, c’è un sano dinamismo a conferma di una attenzione al dibattito politico e un passaggio dal cosiddetto voto di appartenenza al voto di opinione. La rete, dal canto suo, è una grande piazza virtuale che favorisce l’incontro e il confronto e richiede presenza e serietà.
Ma chi ha vinto le primarie?
Bersani ha vinto due volte. Una prima volta perché ha resistito alla tentazione di avvalersi di quanto previsto dallo Statuto del PD che lo candidava automaticamente a Presidente del Consiglio, anche sfidando il cerchio magico dei consiglieri più vicini. La seconda volta perché ha avuto una affermazione consistente e convincente.
Anche Renzi le ha vinte due volte. Perché le ha sfrontatamente provocate e perché la campagna elettorale, i confronti e il risultato hanno portato finalmente allo scoperto le molte contraddizioni del PD e la necessità di un reale cambiamento interno. E finora le ha vinte anche perché ha dimostrato di possedere una qualità rara, quella di saper perdere con dignità. E di essere leale. E speriamo che duri, perché le tentazioni sono dietro l’angolo e gli esempi dei soliti noti impegnati in improbabili operazioni di maquillage di se stessi strabordano dai talk show e dalle prime pagine.
Le primarie, sia pure tra persistenti timidezze e chiusure regolamentari, hanno stravinto, imponendosi come metodo che comunque dà voce ai cittadini, al punto da sconcertare le altre forze politiche che le hanno proclamate, poi negate oppure farsescamente scimmiottate o imitate. Ma – quel che più conta – si sono imposte nel PD e tra molti elettori anche esterni, attratti e piacevolmente sorpresi dalla possibilità di poter contare nella scelta delle persone cui democraticamente delegare il potere di governare. Con ciò ridando ossigeno al comatoso rapporto dei cittadini con la politica.
Non mi par poco …
Tutto bello? Tutto positivo?
Secondo tempo un po’ meno bello del primo.
Anche in questa bella esperienza, non sono mancati  quelli – tra noi – che hanno il dono di stimolare una discreta dose di nausea. Sono quasi sempre gli stessi, sempre pronti a spiccare il salto cercando di non perdere il treno del vincitore, o del prevedibile vincitore.
Non partono mai per primi con un’idea, un’iniziativa, un progetto. Esistono da sempre ed è un fenomeno quasi fisiologico se capita una, due volte, ma alcuni ne fanno una ragione di vita. Vivacchiano nel semianonimato, contenti e felici, si avventurano raramente nella critica, stanno di vedetta fino a quando non si ode il rumore di un nuovo treno sul quale salire e tentare una nuova avventura, con la prudenza necessaria per non finire stritolati tra un vagone e l’altro. D’un balzo ci sono sopra, spintonano subito, cercano di farsi vedere – loro l’hanno sempre detto – il nuovo verbo è il loro da sempre, si animano come non mai. Succede come quando alle casse del supermercato le file diventano troppo lunghe e viene aperta una cassa in più.
Sul treno di Bersani c’è ressa, alcuni seduti, molti in piedi sempre più numerosi, ma … una noia mortale se non fosse per quelli  – pochi peraltro – che brontolano per la carenza di posti a sedere che lungo il percorso tendono progressivamente a ridursi, mentre ad ogni fermata quelli in piedi tengono d’occhio i fortunati seduti, sperando che si decidano ad alzarsi e lasciare il posto ai pazienti successori. L’alternativa è cambiare carrozza, ma non è da tutti. Ci vuole prudenza. Chi è seduto nei posti comodi non ci pensa neanche. Al massimo qualche timido movimento nelle retrovie.
Il treno di Renzi parte e arriva alle stazioni. Dalla Leopolda in giro per l’Italia. Le stazioni sono luoghi aperti per definizione. Si può entrare, fermarsi, ammirare i treni che passano, salire liberamente o stare a guardare. Alla Leopolda confluiscono fin dall’inaugurazione i sensibili, i curiosi e gli imprudenti, le anime belle e anche un bel gruzzolo di opportunisti. Dalla Leopolda parte un treno nuovo, quasi un prototipo. Si sa che le novità non sono per tutti. Questo treno, una volta partito  ha sostato il 25 novembre ed è arrivato alla meta il 2 dicembre. Come viaggio inaugurale è andato bene … si è guadagnato il 40% dei passeggeri.
Un bel colpo, ma la maggioranza ha preferito ancora il più rassicurante treno di Bersani e ora che i treni delle primarie hanno concluso la loro corsa, guadagnando complessivamente l’attenzione di molti elettori, è necessario non perpetuare il clima di competizione. I delusi nelle competizioni ci sono sempre. Ora, come esemplarmente indica lo stesso Renzi, tutti sul treno della cosiddetta “ditta”. Sarà bene che nessuno resti a terra.
Su quel treno che ormai fila veloce verso il 24 e 25 febbraio c’è molto da fare per tutti.
Tra certezze, illusioni, mistificazioni e speranze
elezioni 2013
Non è più presto, ma sto cercando di riordinare le idee dopo la bufera delle primarie del 25 novembre, del 2 e del 30 dicembre e prima delle elezioni di fine febbraio.
Tutti, prima favorevoli o prima contrari, si sono sperticati ad affermare che ormai le primarie sono irrinunciabili e fanno parte del DNA del PD. Soprattutto i contrari, ribadendo stucchevolmente che – però – sono solo uno strumento. Bella scoperta! Ma come fanno a ripetere questa litania senza accorgersi della sua banalità? Ora, piaccia o non, dopo queste primarie il PD non è più quello di prima. Ha scoperto di avere un elettorato non più “ciecamente obbediente”, un elettorato che non si scandalizza se i suoi leader hanno idee diverse e si mettono in discussione apertamente, un elettorato a cui piace di poter scegliere, un elettorato per niente stanco di essere coinvolto quando c’è da decidere. Un elettorato a cui piace proprio decidere.
Insomma, un elettorato da “considerare”.
Dico questo perché sarebbe ora di chiudere la questione se sono più importanti gli elettori oelettori gli iscritti, se il partito deve essere solido o liquido, se la “rete” è importante o contrasta il “radicamento”.
Spero che si sia capita l’importanza degli elettori anche quando le scelte si svolgono all’interno del partito. Fortunatamente non esiste un confine netto fra queste due categorie. Intanto perché gli iscritti sonoIscritti anche – contemporaneamente – elettori. Sappiamo pure che da un anno all’altro gli iscritti cambiano. C’è chi va e c’è chi viene. Tra gli elettori, anche tra loro, c’è un sano dinamismo a conferma di una attenzione al dibattito politico e un passaggio dal cosiddetto voto di appartenenza al voto di opinione. La rete, dal canto suo, è una grande piazza virtuale che favorisce l’incontro e il confronto e richiede presenza e serietà.
Ma chi ha vinto le primarie?BersaniRenzi
Bersani ha vinto due volte. Una prima volta perché ha resistito alla tentazione di avvalersi di quanto previsto dallo Statuto del PD che lo candidava automaticamente a Presidente del Consiglio, anche sfidando il cerchio magico dei consiglieri più vicini. La seconda volta perché ha avuto una affermazione consistente e convincente.
Anche Renzi le ha vinte due volte. Perché le ha sfrontatamente provocate e perché la campagna elettorale, i confronti e il risultato hanno portato finalmente allo scoperto le molte contraddizioni del PD e la necessità di un reale cambiamento interno. E finora le ha vinte anche perché ha dimostrato di possedere una qualità rara, quella di saper perdere con dignità. E di essere leale. E speriamo che duri, perché le tentazioni sono dietro l’angolo e gli esempi dei soliti noti impegnati in improbabili operazioni di maquillage di se stessi strabordano dai talk show e dalle prime pagine.
Le primarie, sia pure tra persistenti timidezze e chiusure regolamentari, hanno stravinto, imponendosi come metodo che comunque dà voce ai cittadini, al punto da sconcertare le altre forze politiche che le hanno proclamate, poi negate oppure farsescamente scimmiottate o imitate. Ma – quel che più conta – si sono imposte nel PD e tra molti elettori anche esterni, attratti e piacevolmente sorpresi dalla possibilità di poter contare nella scelta delle persone cui democraticamente delegare il potere di governare. Con ciò ridando ossigeno al comatoso rapporto dei cittadini con la politica.
Non mi par poco …
Tutto bello? Tutto positivo?

Secondo tempo un po’ meno bello del primo.
Anche in questa bella esperienza, non sono mancati  quelli – tra noi – che hanno il dono di stimolare una discreta dose di nausea. Sono quasi sempre gli stessi, sempre pronti a spiccare il salto cercando di non perdere il treno del vincitore, o del prevedibile vincitore.
Non partono mai per primi con un’idea, un’iniziativa, un progetto. Esistono da sempre ed è un fenomeno quasi fisiologico se capita una, due volte, ma alcuni ne fanno una ragione di vita. Vivacchiano nel semianonimato, contenti e felici, si avventurano raramente nella critica, stanno di vedetta fino a quando non si ode il rumore di un nuovo treno sul quale salire e tentare una nuova avventura, con la prudenza necessaria per non finire stritolati tra un vagone e l’altro. D’un balzo ci sono sopra, spintonano subito, cercano di farsi vedere – loro l’hanno sempre detto – il nuovo verbo è il loro da sempre, si animano come non mai. Succede come quando alle casse del supermercato le file diventano troppo lunghe e viene aperta una cassa in più.
Sul treno di Bersani c’è ressa, alcuni seduti, molti in piedi sempre più numerosi, ma … unaBersani col treno noia mortale se non fosse per quelli  – pochi peraltro – che brontolano per la carenza di posti a sedere che lungo il percorso tendono progressivamente a ridursi, mentre ad ogni fermata quelli in piedi tengono d’occhio i fortunati seduti, sperando che si decidano ad alzarsi e lasciare il posto ai pazienti successori. L’alternativa è cambiare carrozza, ma non è da tutti. Ci vuole prudenza. Chi è seduto nei posti comodi non ci pensa neanche. Al massimo qualche timido movimento nelle retrovie.
CAMPERIl treno di Renzi (il camper, per la verità) parte e arriva alle stazioni. Dalla Leopolda in giro per l’Italia. Le stazioni sono luoghi aperti per definizione. Si può entrare, fermarsi, ammirare i treni che passano, salire liberamente o stare a guardare. Alla Leopolda confluiscono fin dall’inaugurazione i sensibili, i curiosi e gli imprudenti, le anime belle e anche un bel gruzzolo di opportunisti. Dalla Leopolda parte un treno nuovo, quasi un prototipo. Si sa che le novità non sono per tutti. Questo treno, una volta partito  ha sostato il 25 novembre ed è arrivato alla meta il 2 dicembre. Come viaggio inaugurale è andato bene … si è guadagnato il 40% dei passeggeri.
Un bel colpo, ma la maggioranza ha preferito ancora il più rassicurante treno di Bersani e ora che i treni delle primarie hanno concluso la loro corsa, guadagnando complessivamente l’attenzione di molti elettori, è necessario non perpetuare il clima di competizione. I delusi nelle competizioni ci sono sempre. Ora, come esemplarmente indica lo stesso Renzi, tutti sul treno della cosiddetta “ditta”. Sarà bene che nessuno resti a terra.
Su quel treno che ormai fila veloce verso il 24 e 25 febbraio c’è molto da fare per tutti.

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