admin on Luglio 24th, 2020

Dal balcone di casa  se ne vedono due di chiese. 

Una è la parrocchiale dedicata all’Assunta, l’altra dedicata a San Pietro. Una terza, dedicata a San Lorenzo e a Santa Margherita,  non si vede dal balcone ed è stata la piacevole scoperta di una breve escursione esplorativa pomeridiana a Fiè di Sopra. Una quarta, dedicata all’arcangelo Michele che, a quanto pare svolge il compito di pesare le coscienze delle anime trapassate, era la cappella funeraria annessa al cimitero che, come sempre in Alto Adige, circonda la chiesa parrocchiale. Ma ora è il museo della parrocchia.

Non smetto di chiedermi come mai qui in montagna, tra le cime più belle del mondo, patrimonio universale dell’Umanità, mi sono entusiasmato così tanto all’ambiente umano e immediatamente alle chiese. Porsi domande è peculiare di noi esseri umani e le risposte difficilmente sono univoche, definitive.

Devo ammettere che queste chiese fanno parte quasi “naturalmente” dell’ambiente. Già quando velocemente lo attraversi in auto, le vedi, abbarbicate lungo i pendii, chiocce di pietra attorniate da pulcini di pietra e legno, creste a punta o a cipolla. Covano da cinque, sei, settecento anni e più ancora, in gara con i castelli, poderosi, merlati, di vedetta, dominanti vallate.

Anche qui ce n’è uno, quello di Presule.

Merita una visita e sollecita qualche approfondimento che mutuerò da una vera e propria guida del luogo: Cultura Fellis. Edifici d’interesse storico culturale di Fiè allo Sciliar.

“Anche se il castello medievale è per la prima volta menzionato in un documento risalente al 1279 (castrum preslie) in realtà i signori di Fiè – amministratori  del vescovo di Bressanone – lo fecero erigere già attorno al 1200. Il più illustre rappresentante della dinastia fu sicuramente Leonhard von Völs Colonna (1458-1530), per molti anni il governatore del “Land an der Etsch und im Gebirge” (“Terra all”Adige e in montagna”), come si usava definire allora il Tirolo. Proprio a lui si deve l’aspetto attuale del castello che fece fortificare secondo nuove tecniche difensive e allestire secondo il gusto dell’epoca dell’Imperatore Massimiliano I. Il portone d’ingresso reca l’anno 1517.

Una moderna scultura posta innanzi all’entrata ricorda i processi alle streghe, che si svolsero nel castello tra il 1506 e il 1510.

All’interno della possente cinta muraria una via lastricata conduce fino al pittoresco cortile interno da cui si accede direttamente alla sala delle colonne e dove è possibile ammirare ancora oggi l’antico pozzo a carrucola. Di particolare fascino tra le stanze sono particolarmente la sala dei cavalieri (con pannelatura neogotica) e la stanza del camino.”  (Continua)

 

admin on Luglio 16th, 2020

Quest’anno vacanza slow. Senza programmi prestabiliti. Sempre in montagna. Dopo la pandemia da Coronavirus la montagna sembra la più adatta a mantenere la cosiddetta distanza sociale. Prima tappa  Fiè allo Sciliar dove rimarremo due settimane. Poche per un’esplorazione sufficiente ad apprezzarne tutte le potenzialità. Non sono venuto in montagna alla ricerca di qualche via ferrata lungo la quale sperimentare la mia agilità, il mantenimento dell’equilibrio, la resistenza. No questo cercavo fino a venti anni fa. Ora tocca ad altri. Io amo sentieri non troppo a rischio vertigini, amo esplorare questi magnifici borghi, fiutarne le tradizioni, la storia, cogliere tutta la ricchezza dell’offerta che sanno mettere in vetrina a favore di chi, come me, può passare qui giorni di riposo e meditazione. Abbiamo scelto di vivere nel modo più indipendente possibile. Per questo abbiamo preferito un piccolo appartamento e constatiamo subito che bastano pochi minuti di cammino per fare la spesa. Non mancano negozi e supermercati, ma ciò che attira subito l’attenzione è il centro storico: piazza, chiesa, scuola, comune, alberghi. Detto così niente di originale, ma invece … la chiesa è aperta: vale la pena di entrare. Gli occhi sono subito attratti dalla pala dell’altra maggiore. Avvicinarsi è spontaneo e la curiosità mette a fuoco il tesoro. Non avevano ancora inventato la stampa, ma quella pala è un vero e proprio libro aperto. A fumetti. Interno copertina: si presentano gli autori, Giovanni l’Aquila, Luca il Vitello, Matteo l’Uomo, Marco il Leone.

E all’interno i primi capitoli della Storia: L’Annunciazione, la Natività e l’arrivo dei Re magi.Ve lo immaginate l’uditorio analfabeta, alla messa domenicale, in ascolto del parroco di quelle epoche lontane, incantato dalla bellezza di quelle rappresentazioni? Gregge rapito dalla descrizione dei fatti raffigurati che solo il prete aveva letto e riletto rigorosamente in latino? Ve lo immaginate quel popolo in uscita dalla chiesa, sciamante lungo i sentieri che lo riportano alla cascina, tra le mucche e le capre al centro della sua vita? Che cosa si saranno detti? E quali i loro pensieri? (continua)

admin on Maggio 11th, 2020

È vero che una tira l’altra. Solitamente ci si riferisce alle ciliegie, ma questa volta lo riferiremo ai libri. Bel gruppo quello che si è prodotto intorno a un libro che ha scatenato commenti sempre entusiasti. Ma c’è anche chi non ha commentato e tra i silenti, qualcuno che non ha gradito c’è. Succede.

A me l’esperienza è piaciuta. Mi piacerebbe molto che ci si potesse trasformare in un vero e proprio gruppo di lettura dal vivo. Credo che bisognerà attendere la scomparsa del virus, ma nel frattempo potremo sempre continuare come abbiamo cominciato.

Dopo qualche incertezza e dopo un po’ di esplorazione ho scelto un nuovo libro. È sicuramente diverso, si tratta ancora di un viaggio, sicuramente più comodo, ma ugualmente affascinante. Un viaggio che ha inizio nel sesto secolo e non si concluderà con l’ultima pagina del libro. Anzi. Pagine che ci condurranno, capitolo dopo capitolo, in esplorazione attraverso l’Europa a scoprirne le radici alimentando, voglio credere, la speranza di un futuro bellissimo e consapevolmente unitario.

Un viaggio che prende le mosse dall’Italia del terremoto, si incammina sulla rete tracciata da Benedetto da Norcia, rintraccia costumi, valori, conquiste di tappa in tappa e allarga lo sguardo sempre più oltre.

Il libro? Il Filo Infinito. Una vera e propria mappa per esplorare il Continente a caccia delle nostre origini ricomponendo, con la guida curiosa e sicura di Paolo Rumiz, i tratti distintivi della nostra identità.

 

admin on Aprile 28th, 2020

Non è dato sapere se questo progetto vedrà presto o tardi la fine. È cominciato così, per la voglia di comunicare con tanti amici in questo periodo di pandemia. Per ora sta andando benissimo: abbiamo superato i quindici lettori cui si riferiva Manzoni nel primo capitolo dei Promessi Sposi.  Alcuni paiono già curiosi di sapere come finirà, per quanto il fatto stesso che Kader, il protagonista cui ci si affeziona subito, sia giunto alla pubblicazione del suo libro, sveli che non finirà poi male.

Ora ho deciso di continuare questa simpatica esperienza stimolata non poco dal narciso che è in me.Di più, il gusto di aver recuperato antiche relazioni è decisamente stimolante.

I complimenti e i ringraziamenti per l’idea mi fanno pensare che davvero devo aver colto nel segno. Ma ciò che devo sottolineare per onestà è che questa idea fa un sacco di bene prima di tutto a me.

Il coronavirus ha creato molte serie difficoltà. Anche soltanto intorno a me faccio esperienza con chi ha perso il lavoro, con chi deve lavorare homeworking, con studenti che devono adattare la loro frequenza scolastica collegandosi con le rispettive scuole via skype. E queste sono le difficoltà più immediate. Ce ne sarebbero molte altre che, per il momento tralascio, perché preferisco attestare, invece, il mio personale, incomprensibile disagio. E pensare che la mia condizione di pensionato avrebbe dovuto abituarmi al dolce far niente che si pensa essere lo status connaturato a quanti, terminata la vita attiva, possono godersi la meritata pensione.

Per niente. Pensando a ritroso, vedo che la politica ancora mi stimola, le amicizie, il mondo che ruota intorno alla scuola e alla cultura e, di fatto, gli interessi e le abilità maturate nel corso della vita stuzzicano non poco. Però l’idea di avere davanti giornate di clausura dall’obbligo di restare in casa, mi creava una sensazione di inutilità mai provata che non so nemmeno nominare.

Non bastava leggere, sfogliare riviste di parole crociate nel tentativo di trovare qualcosa di non troppo facile, ma nemmeno troppo difficile, fantasticare se fosse meglio dirottare verso la pittura o riprendere a scrivere e non decidere mai.

E leggere? Ma non solo per me. Ci avevo provato anche in casa e non andava male. Anche con i miei nipoti. Ma ormai non erano così assidui come qualche anno fa. Perso l’attimo. Ma qualche amico non mancava per ritentare. Nel passato mi avevano chiesto di farlo per i malati in ospedale. Esperienza ormai conclusa. Recentemente anche in chiesa avevo qualche fan. E allora … leggere per chi è solo o si sente solo, ora che c’è questo obbligo di clausura per evitare l’attacco del corona virus?

Avevo da poco letto un gradevole libro di Michela Murgia … Alcuni capitoli erano molto belli e adattissimi all’esperimento. Brevi il giusto. Registro e invio.

A chi? Comincio a scegliere dalle chat e dalla mailing list. Ora – ve l’ho detto – ho superato il numero di lettori dichiarati da Manzoni per il suo “Fermo e Lucia”, poi mutato in “I Promessi Sposi”.

Ma adesso il compito si è fatto più impegnativo. Siamo giunti a una storia di vita. Quella di Kader. Un ragazzo africano giunto in Italia attraversando quelle terribili peripezie a noi rese note solo in parte dai media. Un racconto teso a esplorare anche l’animo del protagonista e far riflettere chi legge e chi ascolta leggere.

Qualcuno comincia a chiedere: – A quando la prossima puntata? Non avete idea di quanto importante sia, per chi legge, che qualcuno aspetti.

Per ora mi basta così.

Poi, come tutti, anch’io non vedo l’ora di uscire.

admin on Marzo 18th, 2020

Sarà perché la vita mi ha portato due o tre volte a frequentare per qualche giorno questo luogo di grande serenità e, di conseguenza, a non dimenticare la persona che lo ha fondato e ne tiene vivo il messaggio di giorno in giorno attraverso la Comunità, i libri, gli incontri, le collaborazioni giornalistiche, i media e soprattutto con la meditazione quotidiana offerta a chi lo chiede. Un appuntamento prezioso al quale non riesco ad essere sempre attento, ma l’altro ieri ho prestato prima attenzione, poi ho dovuto rileggere. La riflessione di Frate Stefano provocava più del solito e, contemporaneamente, rasserenava. Per questo l’affido a questa mia pagina ché non vada persa!

Vincenzo

16 marzo 2020

Mc 8,27-33 (Lezionario di Bose)

In quel tempo 27Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?».28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo»3.0E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini»

Leggiamo che Gesù lungo la via “interrogava i suoi discepoli” (cf. v. 27), in greco eperóta, “domandava”, un imperfetto indicativo. Questo significa che non chiese loro una volta per tutte, ma lungo tutto il cammino verso Cesarea di Filippo Gesù domandava ai suoi a riguardo di se stesso.

La strada, la via verso le terre al confine della fede, è il luogo della domanda sull’identità di Gesù. Potremmo dire:

tutta la via cristiana, la strada del discepolato, è accompagnata dalla domanda: “Chi è il Signore?” e dai nostri tentativi di risposta, come se questa domanda non fosse una domanda cui dare una risposta una volta per tutte, ma sia la domanda che guida il discepolo lungo la via dietro al Signore, la domanda che aiuta a tenere la strada.

Camminando dietro al Signore verso le terre al confine della fede noi non abbiamo in primo luogo delle risposte; abbiamo una domanda, articolata su due punti di vista: “La gente, chi dice che io sia?” (v. 27), “Ma voi, chi dite che io sia?” (v. 29). Il discepolo (“voi”) nel mondo (“la gente”) è definito dal suo Signore, però non attraverso delle affermazioni dogmatiche, ma attraverso la dinamica di una domanda.

Forse anche Gesù avrà avuto bisogno di essere accompagnato dalla domanda: “Chi sono io?”, ma certo noi la dobbiamo considerare dal nostro punto di vista: “Gesù, questo Gesù, chi è?”, e così ricollocarci continuamente nella nostra identità di discepoli.

Perché certamente anche noi dobbiamo porci continuamente la domanda essenziale per ogni uomo: “Chi sono io?”, la domanda che ci guida nella mai esaurita conoscenza di sé (“Conosci te stesso!”); ma allo stesso tempo, in quanto discepoli di Cristo, incorporati a lui nel battesimo, e quindi parte della sua stessa identità cristica, la domanda che ci riguarda è anche: “Ma voi, chi dite che io sia?”. E questa domanda sempre e sempre dobbiamo porcela: chi diciamo essere per noi il Signore? È la domanda che ci situa sulla via, alla sequela di lui, diretti verso le terre dell’incredulità.

Sull’esempio di Pietro, il discepolo che ci rappresenta, sappiamo come sia possibile dare una risposta puntuale, una risposta formalmente corretta, una risposta che dice esattamente quale sia l’identità di Gesù. Ma sappiamo che questa risposta può non significare un’espressione di fede sincera, e può situarci nel quadro della volontà propria piuttosto che nel quadro della volontà del Padre, che pure questa risposta ha ispirato.

Per questo la domanda deve essere sempre e sempre riformulata, perché la vita del discepolo sia sempre più conforme all’identità del suo Signore. “Tu sei il Cristo”: questa è la realtà di Gesù, ma questa realtà deve essere fatta propria dal discepolo, e deve divenire principio di identità per lo stesso discepolo.

E cosa significa essere discepoli di un Signore che è “il Cristo”?

Vediamo subito che Pietro, per quanto risponda con sapienza alla domanda di Gesù, non è pronto a viverne le conseguenze. Per questo lui, come noi, deve rispondere altre volte alla domanda di Gesù sulla sua identità. Perché, sinceramente parlando, noi non siamo pronti, e forse mai lo saremo del tutto, a sostenere che il Cristo, il Figlio dell’uomo, il mediatore di salvezza, debba “soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere” (v. 31).

Perché poi la nostra via dovrebbe essere la sua, e noi, sinceramente, attraverso la morte non vorremmo passare.
fratel Stefano

Monastero di Bose

admin on Marzo 18th, 2020

 Difficile registrare qualcosa in modo ordinato in questi giorni, ma si può provare.

Casa mia. 11 febbraio, fine mattinata. Un immediato, insopportabile dolore dietro le spalle che si diffonde rapido in zona sterno e lungo il braccio. Vomito. Intuisco.

É un infarto. Silvana telefona al dottore. Nessuna risposta e allora sia 118. Tempo 13 minuti l’ambulanza è davanti a casa. Scendo con i miei mezzi. Mi dicono che non c’è da preoccuparsi. E non mi preoccupo, però non perdono tempo. Decidono per Villa Maria Cecilia Hospital di Cotignola.

Da Comellini a Castel San Pietro si va a comprare prosciutto e leccornie e loro si fermano per far salire il medico che avverte del mio arrivo.

Ci siamo. Mi pare di vivere un film. Salto da una barella all’altra che già corre lungo un bianco corridoio. Brusca frenata e si materializza una sala operatoria. Divise verdi, bianche, blu, sincronie studiate e perfette, bip, luci si incrociano, monitor mostrano percorso e dati, bip, bip, bio  qualcosa penetra e si insinua, rallenta, curva, bip, bip, bip…

Ci siamo. Tre e mezzo… meglio quattro? Tre. … bip, bip, bip, … Ormai sono bionico.

La lettiga è già in viaggio. Si sale, usciamo al terzo. Terapia Intensiva. Stanza n. 1.

Son passate due settimane, poco più e ormai l’ospedale è per me un ricordo. Di nuovo tra le mura di casa, il malato che è in me si sfarina giorno dopo giorno. In realtà non mi sono mai sentito veramente malato. La sofferenza fisica è terminata già al momento della partenza dell’ambulanza da casa mia, risolta da una di quelle sostanze miracolose che chi ne sa ed è lì per provvedere ti inocula immediatamente. Dopo, a farti sentire malato contribuiscono l’ambiente, i tuoi cari persino troppo assidui e attenti, la presenza continua degli addetti con le loro divise, la loro gentilezza, la loro determinazione.

E tu Ti guardi intorno e scopri. Perché l’ospedale è ricco di persone e questo, in particolare, di persone che vengono da lontano.

Salerno, Caserta, Fermo, ma anche Africa. Pelle non mente. E sarà che siamo tutti così presi dalle mille paure indotte dai mille aspetti di una globalizzazione non digerita, ma anche qui affiorano fantasiosi ragionamenti intorno a chi dovrebbe o non dovrebbe poter fruire dei servizi di un ospedale come questo.

Il discorso sta sulle generali: – Vede? Ma quanti letti in più ci sarebbero a disposizione per noi italiani? E invece …

Non mi sento di rispondere. In fondo anche lei che assiste il mio compagno di stanza è provata, sicuramente ha sofferto. Eppure dentro di me non posso fare a meno di pensare che anche il suo assistito non è proprio “del posto”.

Cinque minuti e abbiamo una visita. Un fraticello con tanto di stola pronto a farci pregare:

  • Sono Padre Giuseppe! Da dove venite?

La provenienza è la prima domanda. E non può essere diversamente in un ospedale come Villa Maria Cecilia al quale si ricorre da ogni parte del mondo e nel quale operano medici di molte parti del pianeta.

Solo io di questa regione. Realizzo che la mia convinzione di essere nato nel tempo e nel luogo migliore si rafforza una volta di più. Non avevo mai verificato di persona l’eccellenza della sanità emiliano romagnola, ora con questa esperienza si colma anche questa mia lacuna.

Il mio coinquilino è marchigiano ed è in partenza. Ma dovrà tornare. Lo hanno ricoperto di prescrizioni, di consigli, di farmaci e… di un nuovo appuntamento.

Padre Giuseppe ormai si congeda. Ma io non resisto:

  • E lei, padre, da dove viene?
  • Ah… Indovina indovinello!
    Non era difficile la risposta, ma preferisco andare per gradi
  • Intanto … dall’Asia.
  • Bravo! Ma l’Asia è grande, fratello!
  • E allora, India!
  • Perfetto.

Com’è piccolo il mondo! Pochi metri quadri lo spazio, tre giorni il tempo e intorno a me ruotano italiani da Salerno, da Caserta, dalle Marche e ora dall’India…

Non passano cinque minuti e si affaccia un medico. In questi pochi giorni di permanenza non mi era ancora capitato di incrociarlo. Infatti non è venuto per me, ma per dare le ultime disposizioni al mio vicino. Divisa d’ordinanza, grande sorriso, grembiule immacolato, fonendoscopio al collo e… faccia nera. E così lAfrica non è presente solo tra gli ammalati, ma anche fra i medici.

Ce n’è da riflettere. Per tutti.

Grazie India! Grazie Africa! Grazie Italia!

 

admin on Luglio 3rd, 2019

Chi non vorrebbe modificare il corso della storia, o più modestamente il corso della propria vita quando tutto sembra portare verso il peggio? Allora nella mente si affacciano immagini nuove, situazioni al limite del realizzabile. L’Utopia. Chi non si è lasciato trasportare da Lei  anche solo per qualche minuto e con Lei si è fatto il viaggio?

Care ragazze e cari ragazzi, donne e uomini di questa nostra terra che amiamo, nella quale viviamo costruendo giorno per giorno il nostro oggi e i nostri domani.
Spero che siate rimasti colpiti anche voi come me dalla violenza usata verso i migranti salvati dalla Sea Watch. Spero che, come le ragazze e i ragazzi di Palermo che qualche sera fa si sono ritrovati davanti alla cattedrale della loro città, anche voi sentiate il bisogno di gridare lo sdegno verso chi ancora si oppone allo sbarco di questi esseri umani, umani come me e come voi che leggete. Verso chi nega loro la possibilità di affrontare il futuro, quello che vanno cercando fuggendo dalla guerra, dalla povertà, dalla violenza, dall’assenza di qualsiasi prospettiva di vita.
Se non ne siete rimasti colpiti fermatevi a riflettere cominciando a chiedervi qualche sano perché.
Non è di oggi questo fenomeno. La migrazione da luoghi in cui è difficile, se non impossibile, vivere ha coinvolto, in  un passato neanche tanto lontano, anche il nostro popolo. Fatevi raccontare di chi dal nostro Paese trovò lavoro nelle miniere del Belgio o in Germania. Nonni e nonne possono parlarvene fino alla noia. Recentemente, in particolare dopo il 1989 (abbattimento del muro di Berlino), dall’Albania, attraversando il mare Adriatico, arrivavano in cerca di lavoro. La migrazione avviene sempre in cerca di una vita migliore, talora dell’unica vita possibile: noi italiani abbiamo popolato l’Argentina, il Venezuela, gli Stati Uniti, il Canada, ma anche l’Australia, la Nuova Zelanda …

Vi sarà capitato di parlarne con qualcuno, in rete o, più raramente faccia a faccia. Ma voi, tu Chiara, tu Tommy, tu Marty, e tu Lory, ma anche tu Samu che hai appena finito le elementari, che ne pensate? Non la dovete a me la risposta. Non è un’interrogazione. È una domanda che spero abbiate posto a voi stessi e abbiate cercato di darvi una risposta. Vivete in un’epoca caratterizzata da un’informazione anche troppo facile, e non uno di voi ignora come si fa ad accedervi. Attraverso i media e la fiction avete dimestichezza con situazioni di vita tragiche, crudeli, violente. Immagini che qualche decennio fa avrebbero fatto abbassare le palpebre per non vederle e non impressionarsi sono oggi di esperienza quotidiana. Fanno ormai parte dei nostri passatempi. Sappiamo che sono finzione o, quando si riferiscono a fatti realmente accaduti rappresentano una realtà lontana. A noi non succederà mai?

Anch’io lo spero, anche per me. E me lo auguro per voi che avete la vita tutta ancora davanti.

Immagino che anche a voi, come succede a me capiterà di tanto in tanto di fare un po’ di bilancio della vita trascorsa e anche voi, voi che non siete, o non diventerete, esemplari di quel 27% di italiani che vengono definiti analfabeti funzionali, possiate concludere che siete stati molto fortunati. Fortunati a nascere dove siete nati e a vivere dove, complici le vostre scelte e la vostra collaborazione e fatica,  la vita vi ha condotto giorno per giorno lungo strade di pace, in luoghi nei quali con lo studio, col lavoro, nella libertà, nell’uguaglianza delle opportunità, nella fiducia e nell’aiuto reciproco tra esseri umani state sviluppando una vita degna. Questo mi auguro.

E allora? Cosa c’entra tutto questo con la Sea Watch?

Domanda retorica, vero?

Voi avete capito benissimo che c’entra, eccome se c’entra!

Chi sono i 42 della Sea Watch? Credo che per capire bene bisogna esercitarsi a indossare i loro panni. Sennò è facile, anche troppo.

Quando ho cominciato a scrivere erano allo stremo sul ponte della nave con la sola speranza che Carola, la Capitana, ottenesse il via libera per entrare nel porto di Lampedusa e tutti potessero finalmente sbarcare in Italia. Oggi, Carola ha deciso di entrare e attraccare. Il suo progetto di portarli in salvo si è realizzato. I sogni di quaranta persone cominciano a tingersi di speranze …

E Carola? Carola è stata arrestata. Ah, sì? hai ripescato e salvato 42 naufraghi e li hai portati in salvo? Brava. In galera! Vogliamo vedere le manette!

No. I 42 della Sea Watch non ci stanno e lo fanno capire con uno striscione che appendono al parapetto della nave.

 

P.S. – Roberto Vecchioni, in una lettera al Direttore del quotidiano Repubblica, è stato capace di ritrovare nella Storia un episodio narrato 2500 anni fa da un poeta Ateniese, Sofocle, e di proporre questa riflessione. Da leggere per capire.

Caro direttore, è proprio vero che non c’è niente di nuovo sotto il sole, quel (s)elios che brilla e illumina come selenio. Qualsiasi storia, intreccio, episodio, qualsiasi accidente, doloroso percorso, strazio o trionfo che la vita ci presenti nelle sue infinite variazioni c’era già stato, era lì da 2500 anni nella tragedia, nella commedia, nella lirica o nell’epica, nel romanzo e nell’epigramma dell’antica Grecia. Qualsiasi opera letteraria – dice Sepulveda – nasce o dall’Iliade o dall’Odissea, sono frantumate anime in gara con se stesse tutti i re Shakespaeriani pari agli eroi sotto Ilio. Romantici dibattuti fra realtà e sogno, Goethe e compagnia, pari ad Ulisse Robinson di Swift, l’illuminista e Bloom di Joyce, peregrino dell’indefinibile tragedia di un solo giorno. I greci avevano teorizzato già nell’essere o divenire due inconciliabili e antitetiche sembianze della verità. Tutto è doppio, è duplice nell’universo e lo sarebbe stato fino a Hegel, fino a noi. E duplici intendevano pure le forme del vivere sociale, dello stare insieme, di governare una polis, uno stato. La prima, “catabolica”, tendeva a stringere, rinchiudersi, ammucchiare, difendersi, non rischiare l’ignoto; la seconda al contrario apriva, usciva, indagava il diverso, accoglieva, sfidava l’ignoto. La paura del diverso, appunto, ha caratterizzato tutto il neolitico. Ogni evento raro, sconosciuto era all’indice: il mestruo, il ritorno dalla guerra, il neonato malforme, la grandine, l’animale sconosciuto, mandavano in tilt un intero clan. I totem sono simboli di parentela protettiva: se mi imparento con la natura, con gli animali, io può darsi che me la cavo. In fondo ogni “destra” è una società di cacciatori-raccoglitori.

Quando nel regno di Tebe due scriteriati fratelli, figli di Edipo, si prendono a mazzate per salire al trono, succede che quello legittimo la spunta ma crepa e l’altro, l’illegittimo crepa pure e manco la spunta. E qui salta fuori Salvini, che allora si chiamava Creonte, fratello di Giocasta, regnante ad interim nell’attesa speranzosa che i due fratelli (le due anime del Pd) si facessero fuori l’un l’altro, Creonte ordina che il buono “il bianco” Eteocle venga seppellito con tutti gli onori, ma il cattivo, “il nero”, rimanga insepolto.

A questa decisione si oppone fermamente la sorella dei due, una meravigliosa, indomita ragazza: Antigone. Il suo scontro con Creonte è epico. Creonte non si sposta di un centimetro: la legge dice così e basta, caso chiuso. Ma Antigone gli tiene testa con una fierezza che la fa forte dentro di un’altra legge più alta, più universale delle convinzioni umane. No. Lei seppellirà il fratello a qualsiasi costo, a qualsiasi conseguenza potrà andare incontro. È la madre di tutte le battaglie il conflitto eterno tra ragione e cuore. La legge è qualcosa di alto, di sacro. Socrate, che è innocente, non si pone nemmeno il quesito, potrebbe benissimo scansarla, fuggire, tutto è già preparato dai discepoli. Ma è un’altra storia. Socrate aveva votato lui stesso quella legge, la coerenza è per lui imprescindibile. Carola-Antigone non ha dubbi, non ha bilance, su cui pesare il male e il bene, il vero e il falso: lei entrerà in quel porto qualsiasi siano le conseguenze. La dabbenaggine degli uomini è credere che un contratto sociale sia ferro temprato da Dio in persona. Può anche darsi, ma certo l’umanesimo è diamante; di una luce che stravolge e sconvolge quando senti di averla dentro. Io me la vedo Carola, bella, ritta sul ponte a prendere quella decisione che per lei è solamente normale. Nessun tentennamento, nessuna paura, un riso naturale, convinto, gli occhi semichiusi nel sole accecante, nella certezza che tutti gli uomini sono diamanti. Lei non lo sa, ma le ha dentro di sé le ultime parole che Edipo in punto di morte aveva detto ad Antigone disperata: “Non piangere, figlia mia, c’è una sola parola che ci libera dall’oscurita, dal male del mondo. E quella parola è amore”.

admin on Giugno 15th, 2019

A differenza delle altre volte, questa volta le righe che seguono non sono tutte mie. Sono il risultato di alcune conversazioni con qualche amico, in particolare con Corrado Fini. Se non fosse stato per un confronto serrato al termine del quale ci siamo sentiti in totale sintonia, non so se questi pensieri avrebbero trovato forma sulla pagina. Grazie Corrado! 

 

Proprio così. Profondamente offesi e totalmente impossibilitati a reagire ad armi pari. Ma fa lo stesso. Non abbiamo a nostra disposizione televisioni compiacenti, capaci di impostare per noi un talk show sul tema …

Abbiamo però la nostra rabbia, i nostri pensieri, la nostra cultura, possiamo scrivere, ci piace comunicare e confrontarci e abbiamo una buona dose di convinzioni ben supportate da argomenti semplici con cui intendiamo rispondere.

Proveremo a farlo con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Carta e penna, computer, cellulari, libri e, tra questi, la Bibbia.

Lo facciamo per far conoscere ai nostri amici, alla rete di persone che conosciamo, di persona o sui social, le ragioni del nostro sentirci rattristati e offesi, la necessità di rafforzare, proprio ora, i valori irrinunciabili che sentiamo di condividere.

Messaggi fuorvianti

“La pacchia è finita”, i porti sono chiusi. Questo terribile, beffardo messaggio, non era rivolto ai turisti delle crociere, ma, in primo luogo a uomini, donne, piccoli e grandi, in fuga da guerre e da povertà.

Attraversavano un mare tra i cui flutti molti, troppi, hanno trovato la morte. E, nello stesso tempo, si irridevano altri uomini e donne, organizzazioni e volontari che andavano in loro soccorso.

Fa una certa impressione che oggi quella battuta orribile, pronunciata e diffusa sui social da un ministro della Repubblica, sia contornata su facebook da tanti like e da tante faccine ridenti.

Spunti e riflessioni

Umani

Le migrazioni che caratterizzano questo momento storico ci hanno messo di fronte più che mai all’esistenza e persistenza sui pianeta Terra di esseri umani in condizioni disumane. Condizioni favorite dalla rapina perpetrata nei secoli e tuttora esistente a carico di persone, territori, sostanze da parte dei più forti verso i più deboli. Condizioni che hanno favorito la creazione di uomini schiavi di altri uomini, di territori depredati, di norme di vita distinte per colore della pelle, per genere, per censo.

L’Occidente nel quale abbiamo vissuto negli ultimi settant’anni, godendo condizioni di pace e benessere mai sperimentati prima ci ha fatto credere di essere giunti in un’era felice. Poi i nuovi strumenti dell’informazione e della comunicazione che ci siamo dati ci hanno reso consapevoli di essere una sparuta minoranza mentre a due passi da noi esistevano condizioni di vita molto diverse dalla nostra.

La consapevolezza accresce il livello di responsabilità. 

La diffusione di questi strumenti ha reso contemporaneamente consapevoli intere popolazioni, i poveri, i diseredati, del fatto che la  VITA può essere vissuta molto meglio di quella offerta dall’ambiente quotidianamente sperimentato. A due passi da loro.

L’elaborazione del pensiero umano aveva intanto raggiunto una sintesi sui principi guida irrinunciabili della convivenza sul pianeta: Libertà, Uguaglianza e Fraternità. Un buon inizio.

Più di una volta abbiamo trovato il modo di definire queste conquiste in uno strumento formale, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo è quello al quale abitualmente ci richiamiamo per dire chi siamo e come siamo tenuti a convivere:

Art. 1: Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Civili

Abbiamo sentito minacciato il nostro livello di civiltà quando abbiamo sentito venir meno da parte di chi ci rappresenta i principi e i comportamenti basilari della convivenza. Quelli maturati nel corso dei millenni della nostra storia tra progressi e regressi.

La chiusura dei porti, lo sbattere la porta in faccia a chi bussa, l’alzare reti di filo spinato per impedire il passaggio anche a chi chiede soltanto di attraversare la terra in cui abiti per raggiungere terre, parenti, amici che attendono il suo arrivo, ha lasciato dapprima allibiti, increduli molti di noi, italiani ed europei.

Nel contempo si faceva strada la strategia della paura per alimentare il consenso intorno al respingimento delle popolazioni migranti e in favore di chi appariva come il tutore della sicurezza nostra e dei nostri beni.

Un tutore della sicurezza che in realtà rinunciava al suo compito di difendere la nostra incolumità concedendoci di farci giustizia da soli con la detenzione e l’uso di un’arma, riconoscendo la sua incapacità di proteggerci e trovando comodo cavarsela con un chiaro “arrangiatevi!”.

Ma l’opera di salvataggio viene persino criminalizzata con i provvedimenti previsti da chi, in una infantile politica del dispetto, fa della sicurezza un decreto volto a punire chi soccorre i naufraghi e li accoglie in Italia.

Sono queste le misure che minacciano la nostra civiltà, non le politiche di accoglienza 

Vale la pena allora richiamarsi ancora alla Costituzione.

Art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 10: L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.

La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Cristiani

Il continuo richiamo di Matteo Salvini, Ministro dell’Interno, ai valori cristiani è indisponente.

Chi si sforza, sottolineiamo si sforza, di praticarli nel vivere quotidiano ne ha presenti le difficoltà ed è stomachevole lo scimmiottamento che egli fa di una devozione, il rosario, che in tanti fedeli è invece sincera, fiduciosa, grata, amorevole, mentre il gesto esibito davanti ai fan in campagna elettorale ne manifesta sfacciatamente l’uso strumentale finalizzato all’inganno. Il bacio al crocifisso richiama un bacio più noto narrato dall’Evangelista nel racconto della Passione, quello del traditore.

Le sante scritture sono molto chiare e non lasciano scampo a chi vorrebbe adattarle alle sue personali vili intenzioni e convenienze della parte politica.

La proclamazione della fede cristiana è incompatibile con le politiche dell’odio e del respingimento.

Bastano pochissimi richiami:

«Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio» (Lv 19,34).

17 poiché l’Eterno, il vostro Dio, è l’Iddio degli dèi, il Signor dei signori, l’Iddio grande, forte e tremendo, che non ha riguardi personali e non accetta presenti, 18 che fa giustizia all’orfano e alla vedova, che ama lo straniero e gli dà pane e vestito. 19 Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. (Dt: 17-19)

   …Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi….. ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. 41 (Mt 25: 34-36;40)

Ebbene … 

Non possiamo starci. Siamo orgogliosi di appartenere a coloro per i quali la parola UMANITÀ ha valore, la parola CIVILTÀ ne segna le conquiste più alte nel campo della convivenza, la parola CRISTIANI sottolinea l’ideale che ha profondamente segnato l’Umanità col comandamento dell’Amore “ama il Prossimo tuo come te stesso”.  Questo ci fa dire a chi ci governa nel nome del POPOLO ITALIANO

“NON IN NOME NOSTRO”,

perché queste decisioni e queste azioni ci fanno solo vergognare. Esse non sono né UMANE, né CIVILI, né, ad onta dei simboli esibiti, CRISTIANE.  E, tantomeno ITALIANE.

admin on Maggio 21st, 2019

L’Azione Cattolica è stata un punto di riferimento essenziale durante la mia adolescenza e, ancora di più nell’età giovanile. Molto di quell’esperienza mi piacerebbe ricordare … Un’esperienza che assume sfaccettature sempre nuove, diverse, inattese, preoccupanti o entusiasmanti, più o meno consapevoli … personali e comunitarie, innovative …

Ma non si può raccontare tutto e allora i miei quindici lettori si abbandonino, se la curiosità li attrae, alla lettura di questo fascicolo ricco proprio di esperienze dalle quali traspare un processo di cambiamento che si riverbera sull’intera Diocesi di Bologna, sulla storia anche civile, nella quale affiorano fisionomie di donne, uomini, giovani e ragazzi …

Di mio si trova il capitolo dedicato ai Campi Scuola. A pagina 56 …

http://www.azionecattolicabo.it/wpac/wp-content/uploads/2019/03/Agenda_1-2019.pdf

admin on Maggio 6th, 2019

Non posso non annotare qualche pensiero su quanto sta accadendo in Italia. In Italia, proprio in Italia.

Su questo mi tocca persino partire da Matteo Salvini e dal suo noioso ritornello “Prima gli Italiani!”. Ma a modo mio. Non mi ha mai convinto questo carezzevole e insistente slogan utile soltanto a stornare l’attenzione dai problemi veri dell’Italia e degli italiani, gonfiando artatamente a dismisura i dati sugli arrivi dei migranti oltre allo strombazzato danno economico prodotto dalla loro presenza. “Prima gli Italiani” si può e si deve declinare come “Prima l’Italia”, un’Italia che riguadagni posizioni nelle classifiche che contano, quelle che ribaltano istantaneamente i loro effetti benefici sul benessere e sull’essere degli italiani. Parlo di Pil, spread, occupazione, imprese che scelgono di insediarsi nel nostro Paese perché al timone dell’Italia c’è chi dà fiducia. E, last but not least, il livello etico della nostra comunità nazionale.

C’erano. Hanno fatto di tutto perché venissero sconfitti e se ne andassero. Prima al Referendum e poi alle elezioni. Ma non voglio cercare capri espiatori. Meglio non piangere sul latte versato anche perché “chi è causa del suo mal pianga se stesso”.

E ora? Altro che PRIMA!

In Italia le cose stanno andando a catafascio, e siccome non si può piangere sempre, per consolarci ci diciamo che non c’è poi da preoccuparsi troppo, perché è così anche in Francia, così in Inghilterra, è così persino in Germania, per non parlare di quanto succede fuori dall’Europa …

Non ci sto a questo gioco del “mal comune, mezzo gaudio” che conclude sempre volendo convincere che “intanto non possiamo farci niente” e “vedrai che alla fine passerà”.

C’è solo del FATALISMO in questo atteggiamento. Un fatalismo che sfocia nel DISINTERESSE e subito da luogo all’ANTIPOLITICA  più vigliacca.

Perciò, parliamo dell’Italia. Di questa Italia malata.

Ecco in che fase siamo. Una fase che mostra tutte le caratteristiche della PATOLOGIA. E speriamo che non sia cronica.

Se questa condizione stesse ancora dentro ai margini della fisiologia, avremmo la percezione che gli anticorpi non sono esauriti e, invece mi par proprio che “siamo alla frutta”. Fisiologico sarebbe chiedersi “Che cosa posso fare io?”e all’interno di qualsiasi gruppo sociale cercare insieme di intervenire.

All’inizio del 2002 la situazione politica italiana preoccupava non poco.

Nacquero allora i “Girotondi”. Dal basso, come si suol dire.

E allora com’è questo “prima gli italiani a modo mio?” In quello di Salvini gli italiani non devono fare niente, fa tutto lui, l’importante è che lo votino. Secondo me, serve il contrario. Sì,  “prima gli Italiani!”, prima (ci pensino) gli italiani! Il primo atto da compiere è nelle mani degli Italiani che mi rifiuto di crederli fanciullini eternamente inebetiti dagli illusionisti a cinque stelle e/o dai celoduristi con mitraglietta forti coi deboli e deboli coi forti. Prima, quindi, andare a VOTARE il 26 maggio! L’unica arma seria da imbracciare è il VOTO. Mirando bene. Non è il momento di sprecare. A disposizione tutti gli italiani e le italiane hanno un voto, qualcuno due, perché oltre alle Europee in molti Comuni si vota anche per scegliere il sindaco e i consiglieri comunali.

“Prima gli Italiani” lo ribadisco senza togliermi dalla testa l’idea che i primi passi di un’Italia determinata a non perdere il treno del futuro e a togliersi dai piedi chi voleva incatenarla in un passato di guerre fratricide, li compirono donne e uomini protagonisti della Resistenza. Di quell’Italia,  con lo sguardo rivolto al futuro di pace e prosperità, fu l’Italia di Ventotene, di quanti ne aveva avuto abbastanza di morti, di macerie, di orfani, di vedove, di mutilati, di odio, di miseria, di paura e, convinti che gli stessi sentimenti erano presenti in altre donne e altri uomini sopravvissuti alle stesse follie, avviarono il processo di costruzione dell’Europa. Economica, dapprima, poi, un tentativo dopo l’altro, politica.

Ora tocca a noi. Alle spalle tante occasioni perse tra cui il fallimento della Costituzione Europea. È ora che la sveglia suoni e che i liberi e forti si facciano sentire.