Mercoledì sera 30 maggio 2018

Ancora pensieri.

Sì, perché la sensazione di incertezza, di provvisorietà creatasi con la prevalenza delle due forze populiste alleatesi con l’unico scopo di andare al potere per realizzare scopi anche tra loro contrastanti e spesso non chiaramente esposti in campagna elettorale, trasmette insicurezza e anche rabbia per non essere stati capaci di evitare al paese questo passaggio.

E così ci tocca di assistere ad atteggiamenti al limite della correttezza istituzionale.

Al punto che si fa strada passo passo la convinzione di una presa in giro dei cittadini che volevano, col voto, determinare un esito e se ne trovano un altro.

Chi è andato a votare per il M5s per trasformare il sistema fiscale in modo da favorire chi possiede maggiore ricchezza e lasciare chi è povero nelle medesime condizioni? Nessuno, vero?

Mi verrebbe da spifferarlo all’orecchio di chi ha votato 5 stelle per fare un dispetto al PD. Diciamo al PD di Renzi. Con la certezza di ricostruire così “in purezza”, come si dice dei vini ottenuti dal vitigno originario, in seno ai 5 stelle il “vero”, l’unico, PD sopportabile.

Magari PDS … senza tutti quei “margheritini” che, alla fin dei conti, han sempre governato loro.

Ma lasciamo stare!

Chi ha votato Lega per assegnare un reddito sicuro a chi un lavoro nemmeno lo cerca? Ma nessuno, perbacco!

Chi ha votato “grillino” pensando che il MoVimento avrebbe fatto un contratto per governare con la destra delle ruspe e dei respingimenti? Io no di certo!

Chi ha messo la croce su Alberto da Giussano convinto di portare finalmente a governare chi “si fa il mazzo” per lavorare e far lavorare … e tutti gli altri “fuori dalle balle”?… eh…

E invece?

C’è quindi un inganno palese nel contratto stipulato da Salvini e Di Maio per acquisire un potere che da soli non erano in

grado di assaggiare. Un po’ come i Proci a Itaca. Come narra da par suo Massimo Recalcati … https://www.massimorecalcati.it/images/Massimo_Recalcati_La_Repubblica_30_maggio_2018.pdf

Massimo Recalcati

I NUOVI PROCI E L’ITALIA

La Repubblica, 30 maggio 2018

Anagraficamente Salvini e Di Maio appartengono alla generazione che avevo battezzato Telemaco: figli che hanno avuto il coraggio di farsi avanti, di impugnare le sorti del loro destino, di impegnarsi in prima persona per cambiare l’avvenire del loro Paese. Ma politicamente essi — anche alla luce di questo ultimo tristissimo quanto drammatico episodio della loro lunga marcia verso il potere — sembrano assomigliare di più ai Proci. Sono i cosiddetti “pretendenti”, i giovani principi che nell’Odissea di Omero esigono di possedere la regina Penelope e di insignorirsi del trono decretando Ulisse morto, disperso in chissà quale mare. Nel poema essi rivendicano il loro pieno diritto di governare Itaca nonostante non abbiano mostrato alcun rispetto per le sue istituzioni democratiche. Qui il lettore può spaziare ampiamente nella sua memoria tra le infinite ingiurie leghiste e grilline alle nostre istituzioni: ma non è forse questo il cemento armato della loro più profonda convergenza?

L’atteggiamento dei Proci non è però solo antiparlamentare — interrompono con le armi lo svolgimento di un’assemblea convocata da Telemaco, saccheggiano e deturpano la reggia che li ospita — ma è offensivo verso la Legge stessa della città. Il vuoto di Legge che si è determinato con l’assenza di Ulisse li rende padroni assoluti. Evocare la morte di Ulisse significa infatti evocare la morte della politica che deve lasciare il posto all’arroganza di chi rivendica il proprio diritto inscalfibile alla successione.

L’anti- parlamentarismo si ribalta così in una spinta furiosa ad occupare le istituzioni parlamentari. Una differenza sostanziale differenzia però i nuovi Proci dai vecchi. I nuovi hanno ottenuto democraticamente il consenso del popolo per governare la polis. Hanno un mandato, il popolo è con loro, li sostiene. Tuttavia, la Legge della città ha il compito di ricordare loro che il diritto a governare non implica lo sconvolgimento delle regole democratiche della convivenza, non significa introdurre l’anti- parlamentarismo nelle istituzioni nel nome del popolo. Lo squadrismo fascista violava la vita democratica in nome del popolo. Ed è sempre, come è tristemente noto, in nome del popolo che si sono commesse le più grandi atrocità nella storia. I padri costituenti hanno affidato al presidente della Repubblica un ruolo di garanzia. Bisogna che qualcuno ricordi ai nuovi Proci le regole complesse di una democrazia. Il diritto a governare non può mai coincidere con il diritto a fare quello che si vuole, con il puro arbitrio. Leghismo e grillismo empatizzano facilmente tra loro perché sono le espressioni più radicali del populismo: oppongono la volontà del popolo alla vita della politica.

Di fronte al collasso senza precedenti della sinistra e del Pd, di fronte al vuoto della Legge della città che sembra prolungare all’infinito la lunga notte di Itaca, c’è voluto ancora una volta il volto di un padre simbolico a testimoniare chele istituzioni non sono proprietà di nessuno, che il diritto al governare non coincide con il diritto a cancellare i principi elementari di una democrazia rappresentativa. È stato necessario il gesto coraggioso di un padre per salvare le speranze di Telemaco, per ricordare ai nuovi Proci che Ulisse è ancora vivo.

Domenica 4 giugno 2018, mattina.

La notte dell’incertezza sembra trascorsa. Ora il governo si è formato ed è atteso alla prova dei fatti. I Proci hanno festeggiato insieme al loro insediamento, anche la festa della Repubblica, ma già qualcuno rimpiange la monarchia.

“L’État c’est moi” disse Luigi XIV, il Re Sole. “Lo Stato siamo noi!” ha detto ieri il nostro Luigino.

Come inizio non c’è male…

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