Non ho dubbi. Ho sempre pensato che la questione del clima che cambia andasse presa sul serio. L’interesse di ogni essere umano deve essere rivolto in questi giorni alla COP15, la Conferenza suiclimate-changecambiamenti climatici di Copenhagen. Ho proprio scritto “deve”. È un fatto di responsabilità: significa scegliere se sentirsi responsabili o no. E siccome il primo dovere di chi sceglie di porsi in un atteggiamento di responsabilità consiste nell’essere informato, ecco che questi giorni della Conferenza richiedono la massima concentrazione della nostra attenzione sul suo andamento e sui risultati.

C’è il sito ufficiale del Paese ospite, la Danimarca, in varie lingue, bello e molto aggiornato, insieme ad altri più parziali, ma non meno interessanti. Lì tutti possono aggiornarsi quotidianamente e direttamente. L’informazione serve soprattutto a darci le certezze necessarie: un quantitativo impressionante di dati, sulla CO₂, sullo scioglimento dei ghiacciai, sull’innalzamento del livello dei mari, sulla desertificazione progressiva di molte aree del pianeta, sull’impronta ecologica, sulle fonti rinnovabili di energia. Mi fermo qui ma potrei continuare ancora a lungo. Molte di queste che ho chiamato certezze sono la base per poter elaborare le decisioni, fonti della nostra speranza. Ormai non si scherza più.

Gli accordi vanno presi, sottoscritti, assunti dagli stati e rigorosamente rispettati con il massimo coinvolgimento dei cittadini. Ne va realmente della vita nostra e dei nostri figli. Da cittadini dovremo anche uscire dal fatalismo e dall’ambiguità, da quel fatalismo che ci fa pensare che tanto a noi non succederà mai e che se dovesse succedere non c’era poi niente da fare. Ma lo sforzo più grande dovremmo compierlo per uscire da quell’ambiguità che ci fa essere d’accordo a parole, mentre non siamo capaci di rinunciare all’uso dell’auto a favore del mezzo pubblico anche quando c’è, stentiamo ad adottare comportamenti virtuosi per il risparmio dell’acqua, fatichiamo a convincerci che la raccolta differenziata è un dovere, il ricorso a fonti di energia alternative non è dovuto soltanto alla necessità di sostituire il petrolio che presto finirà, ad un tale eccesso di CO₂ nell’atmosfera che gli oceani non riescono più ad assorbire, acidificandosi progressivamente e mettendo in crisi l’intera catena alimentare degli organismi marini.

Anche per questo inserisco un link con l’articolo di Barbara Spinelli che sulla Stampa di domenica scorsa si è espressa sul tema con un contributo che se fossi stato io il titolista avrei intestato “Elogio della paura”. Proprio osservando i dati, affiora davvero la paura, ma sempre analizzando i dati, sapendo che i grandi del mondo se ne occuperanno per dodici giorni, potremo ancora credere che facciano sul serio e in tutti noi possa riaffiorare la speranza. Allora, e concludo, se la Conferenza non dovesse tenere le prime pagine dei media, cerchiamo noi di tenere desto il nostro interesse ricorrendo direttamente ad alcune fonti accreditate come “hopenhagen“.

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