Particolare della decorazione policroma del mosaico con l'acanto e le volute fiorite

Ho preferito rinunciare all’autobus e rientrare a piedi.

Da Ozzano dove ho lasciato la Panda per un intervento meccanico dall’amico Sergio.

Alla base della scelta c’è, come spesso mi accade, la voglia di camminare, ma non solo. Da qualche tempo la mia curiosità è sollecitata dai nuovi scavi dell’antica Claterna a lato della via Emilia, poco prima di Maggio. Non verso sud dove si possono ammirare i pavimenti a mosaico di una villa romana. È verso nord dove già nell’area della “domus del fabbro” ferve l’attività di alcune ragazze intente a ri-costruire uno dei muri della casa. Archeologia sperimentale, mi dicono. Ma non è lì che voglio curiosare. Vedo che ormai una vera cavedagna si inoltra verso est, al centro del campo di erba medica. Mi assicuro che non ci siano divieti e allungo il passo. Una lunga montagnola di terra nasconde alla vista la truppa di giovani intenti a scavare in questa nuova area.

La cavedagna  è ormai una traccia di sentiero che seguo con la curiosità dell’esploratore sulla soglia dell’obiettivo. Mi affaccio e mi soffermo un po’ ad osservare. Ragazze e ragazzi intenti a scavare, spazzolare, osservare sotto gli occhi attenti di due “ispettori” della Sovrintendenza. Come Umarell sono alle prime armi e non mi sento di attaccare bottone. È uno degli ispettori che mi vede e si avvicina. Sta a vedere che mi manda via. Invece no. Apre lui il dibattito che svolta subito sulla questione economica. La città romana, il teatro, i ragazzi … Ci sarebbe bisogno di altre risorse. Faccio capire che Claterna non è una novità per me e a quel punto devo qualificarmi: – Ci ho fatto il sindaco qui.

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– Ma allora conosce Maurizio! Non faccio in tempo ad annuire che già lo chiama.

Maurizio è Maurizio Molinari, ispettore volontario della Sovrintendenza. Superfluo soffermarsi sui convenevoli tra due persone che non si vedono da anni, ma che si stimano. Ciò che conta sono quei dieci minuti a sentirlo raccontare di Claterna e vederla a poco a poco riapparire e come rianimarsi. Gli occhi vedono pietre in fila, mentre le parole creano mura, porte, corridoi, gradoni, spalti che lentamente si popolano di pomposi cives claternati e del cicaleccio di eleganti matrone curiose in attesa di assistere all’esibizione …

Foto aerea da cui risultano evidenti le tracce di edifici pubblici

 

Una commedia di Plauto? Un match fra due lottatori del posto? Circenses offerti alla plebe dai dives della città?

E va bene. Indubbiamente affascinante questo tuffo in un buio secolare appena rischiarato da questi primi affioramenti. Ma la scena è viva. Ragazze e ragazzi veri, a piccoli gruppi, si prendono cura di questi oggetti che, nel loro sonno millenario, mai avrebbero immaginato di uscire dall’ombra fredda e rassicurante del sottosuolo, sentirsi accarezzati dal tocco morbido di dita umane, solleticati dalle setole di una spazzola che restituisce loro forma, colore, significato. Da venti secoli e più non udivano suoni di parole scambiate in una lingua quasi indecifrabile. Ma a prestare attenzione si rendono conto a poco a poco che quelle voci parlano di loro, curiose di saperne di più, felici di scoprire, di tanto in tanto, una risposta. Eh, sì, parlano queste pietre!  Raccontano storie e intrecciano un magico dialogo fra vite prima lontane, ora vicine e curiose …

Altro che libro di storia!

Non c’è paragone. La differenza fra esserci e sentirla raccontare. Poi, se il narratore è bravo, se è un affabulatore, potrà farvela gustare come se foste stati lì, o forse, persino meglio, ma non potrete mai dire “io c’ero”.

Fortunati questi ragazzi degli ultimi anni del Galvani cui tocca studiare cercando, toccando, scoprendo su questo campo di erba medica al limitare della via Emilia e vivere così l’avventura della scuola-lavoro.

Mi allontano pensoso. Penso che tornerò.

 

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